‘SONO POSSIBILI NUOVE FORTI SCOSSE: C’È UNA SEQUENZA SISMICA MOLTO ATTIVA TRA L’AQUILA E RIETI’ AVVERTE L’INGV. LA COMMISSIONE GRANDI RISCHI MONITORA LE GRANDI DIGHE

 “La sequenza sismica continua ad essere molto attiva nella parte meridionale tra le province dell’Aquila e Rieti”, inquieta e non poco la nota diramata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, in relazione ai due eventi di magnitudo maggiore, M 3.5 e M 3.4, avvenuti alle 11.59 del 21 gennaio e nella notte tra il 21 e il 22 gennaio (01.39 italiane), localizzati in Provincia dell’Aquila, nei pressi dei comuni di Cagnano Amiterno, Barete e Pizzoli. Oltretutto, il numero di eventi sismici registrati dall’Ingvnell’Appennino Centrale continua a salire. Tanto per dare idea, basta pensare che alle 11 di questa mattina, il numero di eventi della sequenza sismica in Italia Centrale dal 24 agosto scorso ha superato i 49mila. A rendere ancor più preoccupante la situazione, il quadro tracciato dalla commissione Grandi Rischi, secondo cui si potranno verificare nuovi forti scossenelle aree vicine ai precedenti ipocentri, e fino a magnitudo 7. Nello specifico, la Commissione concentra il rischio maggiore in tre aree contigue alla faglia principale, che non hanno registrato terremoti recenti di grandi dimensioni e hanno il potenziale di produrre terremoti di elevata magnitudo (M 6-7). Nello specifico, segmenti specifici spiegano gli esperti localizzati : “sulproseguimento verso Nord e verso Sud della faglia del Monte Vettore-Gorzano, e sul sistema di faglie che collega le aree già colpite dagli eventi di L’Aquila del 2009 e di Colfiorito del 1997: si tratta di aree sorgente di possibili futuri terremoti”. La dettagliata analisi – di cui si riporta qui una sintesi – esplicata dalla riunione è contenuta nel Verbale consegnato al Dipartimento: “La sequenza sismica che ha colpito l’Appennino Centrale su una lunghezza complessiva di oltre 70 km, ha avuto sino ad ora quattro momenti principali di rilascio sismico: il 24 agosto, con l’evento di M6 di Amatrice; il 26 ottobre, con due eventi principali di M5.4 e M5.9 che hanno esteso la sismicità verso nord; il 30 ottobre, con l’evento di M6.5 che ha ribattuto la zona a cavallo degli eventi precedenti; il 18 gennaio, con 4 eventi di magnitudo M5.0-5.5, su una lunghezza di circa 10 km nella parte meridionale della sequenza, nell’area di Montereale, che si ricongiungono alla sismicità aquilana del 2009. Si tratta di una singola sequenza sismica. L’area era già stata colpita da sequenze simili e da grandi terremoti in passato, in particolare dall’evento del 1639, e non era stata interessata dagli eventi recenti di Colfiorito (1997) e dell’Aquila (2009). Questa sequenza può essere considerata come tipica dell’attività sismica appenninica, e come tale aspettata sulla base della storia sismica e del contesto sismo-tettonico regionale. Un aspetto della sismicità di questa regione è la possibilità che le sequenze possano avere una ripresa e propagarsi alle aree limitrofe, come già avvenuto ad esempio per la sequenza del 1703 (con una durata di oltre un anno e due eventi di magnitudo tra 6.5 e 7 a distanza di un mese), del 1639 (almeno due eventi comparabili a distanza di una settimana), di Colfiorito (1997, M6.0, con una sequenza di sei eventi di magnitudo oltre 5.2 su una durata di sei mesi) e ora nella zona di Amatrice, con tre eventi di Mw5.9-6.5 negli ultimi cinque mesi. La Commissione conferma l’impianto interpretativo già formulato a seguito degli eventi del 24 agosto e del 26 e 30 ottobre. Ad oggi non ci sono evidenze che la sequenza sismica sia in esaurimento. La Commissione identifica tre aree contigue alla faglia principale responsabile della sismicità in corso, che non hanno registrato terremoti recenti di grandi dimensioni e hanno il potenziale di produrre terremoti di elevata magnitudo (M6-7). Questi segmenti – localizzati rispettivamente sul proseguimento verso Nord e verso Sud della faglia del Monte Vettore-Gorzano e sul sistema di faglie che collega le aree già colpite dagli eventi di L’Aquila del 2009 e di Colfiorito del 1997 – rappresentano aree sorgente di possibili futuri terremoti. I recenti eventi hanno prodotto importanti episodi di fagliazione superficiale che ripropongono il problema della sicurezza delle infrastrutture critiche quali le grandi dighe. La Commissione esprime la sua vicinanza alla popolazione colpita dalla sequenza e si complimenta con il DPC per l’efficacia con cui sta affrontando l’emergenza”. Premesso che “Non possiamo assolutamente e sarebbe pericolosissimo abbassare la guardia soprattutto per quanto riguarda gli edifici strategici come scuole o ospedali”, altro ‘osservato speciale’ dagli esperti è lo stato di conservazione – e tenuta – delle grandi dighe ubicate nelle zone a rischio, una delle quali “è su una faglia che si è parzialmente riattivata”. Lo ha ribadito ieri davanti ai microfoni del Tg3 Sergio Bertolucci, presidente della Commissione Grandi Rischi. “Nella zona di Campotosto – spiega – c’è il secondo bacino più grande d’Europa con tre dighe, una delle quali su una faglia che si e parzialmente riattivata e ci possono essere movimenti importanti di suolo che cascano nel lago, per dirla in maniera semplice: uneffetto Vajont. Se si avverte un aumento del rischio, bisogna immediatamente renderlo trasparente alle Autorità e alla popolazione”. Una dichiarazione che ha creato il panico, inducendo lo stesso Bertolucci, poco dopo, a rettificare il senso delle sue affermazioni: “Non c’è nessun pericolo imminente di un effetto Vajont. E’ importante continuare a monitorare l’evoluzione sismica in quella zona, in quanto esiste un aumento della pericolosità dovuta ai movimenti della faglia”. Una precisione sulla quale è voluta intervenire anche l’Enel spiegando che “a seguito dei recenti eventi sismici non si rileva alcun danno alla diga di Campotosto. Il buono stato delle opere è confermato da tutti i controlli previsti eseguiti da Enel in questi giorni, compreso il volo con elicottero effettuato nella giornata di venerdì. Il volume attualmente invasato è di circa il 40%, quindi molto basso”. “Alla luce della difficile situazione idrogeologica di questi giorni si è comunque deciso, come misura cautelare, estrema, di procedere ad una ulteriore progressiva riduzione del bacino”.

M.