Acqua, i Cinquestelle vogliono ridare la gestione ai Comuni: rischio di tariffe più alte

Promette già una lunga serie di polemiche la nuova proposta di legge presentata dalla deputata Federica Daga sulla questione acqua e utility pubbliche: si propone di riportare il servizio di distribuzione e depurazione dell’acqua sotto il controllo “totalmente” pubblico e di toglierlo quindi a qualsiasi forma di società “commerciale”, sia ai privati, sia alle società per azioni anche quando sono controllate dal pubblico. I Cinquestelle ritengono la proposta una vera e propria rivoluzione perché “l’acqua è un bene comune e in quanto tale non è oggetto di mercificazione”. Ma c’è anche chi contesta il provvedimento, sostienendo che si tratterebbe di un clamoroso passo indietro, un ritorno a prima degli anni Ottanta, sprecando tutto quanto di buono è stato fatto negli anni successivi per migliorare il servizio, uno dei peggiori d’Europa. Oltre alla concreta possibilità di vedere le tariffe aumentare di almeno il 15 per cento per coprire nuovi costi.
Le società per azioni che distribuiscono il servizio, anche nelle forme miste pubblico-privato (come le quotate in Borsa), coprono il 97% del servizio in Italia. Ma il punto è che verrebbero affidate soltanto ad “aziende speciali” all’interno dei comuni o degli enti locali, come avveniva più di 30 anni fa. La proposta di legge si propone anche di togliere le competenze di controllo e di verifica degli investimenti all’Arera, l’authorithy che sovrintende ai servizi di energia, rifiuti e il servizio idrico integrato. Il costo per riacquistare le quote delle società e per ripagare i debiti contratti potrebbe però aggirarsi dui 15 miliardi di euro Maggioranza pubblica. Le utility che gestiscono le reti idriche – come detto, in stragrande maggioranza sotto il controllo pubblico anche quando quotate in Borsa – si schierano in maniera compatta sulla posizione critica verso le proposte di legge in discussione alla Commissione Ambiente della Camera, paventando il rischio di aumento delle tariffe. E hanno esposto i loro dubbi durante le audizioni in Parlamento, iniziate da qualche giorno. “Si andrebbe a buttare il lavoro fatto da molte aziende del settore in questi 10-15 anni”, ha detto l’amministratore delegato di Hera, Stefano Venier, in audizione. “Alcune soluzioni si rifletterebbero in un aumento dei costi per i cittadini e per il servizio”, ha aggiunto, precisando che questi aumenti sono “da noi quantificati in almeno il 15%”. Una indicazione simile era arrivata ieri anche da Iren, per la quale “l’abbandono dell’attuale modello industriale comporterebbe la perdita di economie di scala e scopo per 40 milioni di euro e un maggior costo del reperimento delle risorse finanziarie per 10 milioni, con un incremento tariffario del 10-15 per cento”..
Critiche anche da Acea. Critiche sono arrivate da Acea, che pure ha il comune di Roma (guidato da una giunta grillina) come socio di controllo. La presidente Michaela Castelli ha rimarcato l’opportunità di “salvaguardare le aziende miste pubblico-private, anche quotate in Borsa”. Il servizio del ciclo delle acque, ha spiegato, “è un sistema complesso” ed è “un processo che necessita di un elevato know how” e per noi “è fondamentale che la gestione sia affidata a soggetti industriali efficienti, capaci di far fronte alle sfide tecnologiche e che abbiano competenze”. Valerio Camerano, a capo di A2a controllata dai comuni di Milano-Brescia, ha condiviso dal canto suo “alcune aspirazioni, come la sensibilità sociale e la dimensione del coinvolgimento pubblico, ma siamo convinti che alcuni punti meritino un’attenzione particolare”. In particolare, “la discontinuità che potrebbe venirsi a creare in seguito ad alcune decisioni: dalla cessazione anticipata degli affidamenti ci sono rischi rilevanti” sia per gli investimenti che per l’implementazione dell’imminente direttiva europea sulla qualità dell’acqua. C’è poi il tema della scelta del sistema dei finanziamenti: “L’esperienza nostra e l’esperienza europea va nella direzione della tariffa. Una ricaduta sulla fiscalità generale avrebbe diverse criticità, a partire dal reperimento delle risorse che sono ingenti. Inoltre lo sfruttamento della fiscalità non incentiva l’utilizzo efficace delle risorse”.
“I privati puntano ai dividendi”. “I privati spesso antepongono i loro dividendi agli investimenti nella rete e nella sua sicurezza, mentre nella gestione pubblica gli utili si reinvestono per migliorare il servizio ed eliminare reti colabrodo o aree non servite adeguatamente”, aveva già reagito ieri Federica Daga (M5s), prima firmataria di una delle due proposte di legge sulla gestione pubblica dell’acqua. “Perché vogliamo l’acqua pubblica? La risposta è semplice – ha precisato in una nota – innanzitutto perchè lo hanno deciso gli italiani. Poi perchè fare profitto sull’acqua fonte di vita è dannoso e sbagliato: la gestione deve rimanere lontana e separata dalle logiche di mercato. Finanza e giochi di Borsa non si addicono a una risorsa che dà la vita alle persone”.
Libertà di scelta. Utilitalia, l’associazione delle società che forniscono servizi pubblici, ha proposto di lasciare agli enti locali almeno la libertà di scelta: mantenere le attuali forme (in house, miste o gestite da privati) e aggiungere la forma totalmente “pubblica”. Oltre a mantenere degli ambiti di dimensioni tali da consentire economie di scala e lasciare le competenze all’Autothority.