Alzheimer, la scoperta: ecco perché non si trova la cura

    Una nuova patologia, una forma diversa di demenza di cui sono affetti milioni di persone senza saperlo, diagnosticata in modo erroneo come Alzheimer. Si tratta di una delle scoperte più interessanti fatte negli ultimi anni ed è legata ad una proteina presente nel cervello diversa da quella che è coinvolta nella formazione della più famosa malattia degenerativa. I dettagli nello studio pubblicato sulla rivista Brain, risultato di una collaborazione internazionale sotto il coordinamento dall’Università del Kentu.

    Alzheimer, la scoperta: ci sono altri tipi di demenza

    L’importanza dello studio, da cui si evince l’esistenza di un nuovo tipo di demenza, è evidenziata dai risultati,  in grado di di dare una spiegazione, seppur parziale, di come mai è stato così difficile fino ad ora formulare una cura per l’Alzheimer: in sostanza, vi sono diversi tipi di demenza legata alla vecchiaia, anche se tutte le ricerche si sono concentrate sugli accumuli nel cervello di proteine amiloide e tau, quelle che sono collegate con lo sviluppo del morbo di Alzheimer. Fino a un terzo dei presunti casi della malattia infatti potrebbe aver causa da una condizione che ora è stata finalmente trovata: l’encefalopatia TDP-43, correlata all’età prevalentemente limbica, o Late. Tutto legato all’accumulo della proteina TDP-43 nel cervello, una condizione che è riscontrabile in una persona su 5 una volta superati gli 80 anni. Secondo questo nuovo studio, la condizione determina alterazioni della memoria e delle abilità cognitive del tutto paragonabili a quelle legate all’Alzheimer, ma con un incedere più lento. “Questa patologia è stata sempre presente, ma la riconosciamo ora per la prima volta”, ha detto l’autore principale, Pete Nelson, dell’Università del Kentucky. Ecco quindi spiegato come mai alcune terapie anti Alzheimer hanno fallito: semplicemente, si prendevano di mira le proteine sbagliate. “Questo – ha spiegato Robert Howard dello University College London – ha importanti implicazioni per la scelta dei partecipanti nelle sperimentazioni future”.