ARAFAT: A DIECI ANNI DALLA SCOMPARSA E’ ANCORA GIALLO SULLA SUA MORTE

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     l’11 novembre 2004 nell’ospedale militare Percy de Clamart, alla periferia di Parigi, moriva Yasser Arafat. Era la bandiera palestinese,amato dal suo popolo e rispettato dai suoi nemici. Come sarebbe cambiata la storia se fosse ancora vivo è impossibile ipotizzarlo. Tuttavia, l’abilità di conoscitore come pochi altri  del Medio Oriente, la capacità di  confrontarsi con la controparte israeliana sono qualità delle quali oggi si sentono la mancanza. La morte di un leader cosi discusso è avvolta ancora oggi nel mistero. Morte naturale o assassinio? Su questo dilemma si sono cimentati opinionisti di tutto il mondo analizzando le varie ipotesi, spesso contraddittorie, degli esperti. Per gli esperti francesi e russi non c’è dubbio: Arafat, morto l’11 novembre 2004 nell’ospedale militare Percy de Clamart, alla periferia di Parigi, non è stato avvelenato con il polonio 210. “Yasser Arafat non è morto per avvelenamento da polonio, ma per cause naturali”, scandisce il rapporto francese. “Yasser Arafat non è morto per radiazioni ma per cause naturali”, gli fa eco Vladimir Uiba, il direttore dell’Agenzia Medico-Biologica Federale russa (Fmba). Ma le analisi degli specialisti svizzeri guidati dal professore Francois Bochud dell’Istituto di Radiofisica di Losanna mostrano tracce del veleno altamente radioattivo 18 volte sopra la normalità.

    E nel 2013, nove anni dopo la rapida e misteriosa morte del simbolo della causa palestinese, la vedova di Arafat – Suha – evoca il suo “assassinio politico”. In particolare, il rapporto degli scienziati svizzeri riferisce che si riscontra un “innaturale alto livello di polonio radioattivo nelle costole e nel bacino” del leader palestinese, il cui cadavere era stato riesumato il 27 novembre 2012 da un mausoleo a Ramallah. C’è “un 83% di probabilità che sia stato avvelenato” e i risultati “supportano moderatamente” la tesi che sia stato il polonio a provocarne la morte – conclude lo studio – come nel caso dell’ex ufficiale russo del Kgb e oppositore del Cremlino Aleksandr Litvinenko, nel 2006.

    Gli svizzeri, che hanno lavorato insieme con i team russo e francese, hanno ripercorso le ultime fasi della malattia di Arafat, che verso la fine della seconda intifada, visse rinchiuso per più di due anni nel suo compound di Ramallah, circondato dalle truppe israeliane. Era anziano e fragile, ma i rapporti medici dimostrano che “era in buona salute e non in presenza di fattori di rischio particolari”, afferma il rapporto svizzero.

    Tuttavia, il 12 ottobre, Arafat improvvisamente si ammala dopo un pasto. Rapidamente le sue condizioni peggiorano ed il 29 ottobre un aereo del governo francese lo trasferisce all’ospedale militare di Percy. Arafat entra in coma e l’11 novembre muore all’età di 75 anni. Ad infittire il giallo, c’è anche la mancata autopsia da parte dei medici francesi. Nell’agosto 2012 l’emittente al Jazeera rilancia un’indagine che ventila l’ipotesi di avvelenamento da polonio, in seguito al ritrovamento del veleno sugli oggetti personali di Arafat (inclusa la celebre kefya e lo spazzolino). La vedova, Suha, fa una denuncia contro ignoti e la magistratura francese apre un’inchiesta per omicidio che porta alla riesumazione della salma.

    Fino al rapporto svizzero. Nabil Shalit, dell’Olp, afferma che non aveva dubbi sull’avvelenamento del suo leader e invoca un’inchiesta per stabilire “come e chi lo ha avvelenato”. Un portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Yigal Palmor, respinge invece le conclusioni del rapporto, rilevando che “non ci sono prove di come è avvenuto l’avvelenamento” e ribadisce l’estraneità del suo paese. Un consigliere dell’ex premier Ariel Sharon, Raanan Gissin, aggiunge: “C’era allora una decisione del governo israeliano di non toccare Arafat in alcun modo. Se qualcuno lo ha avvelenato era certo allora uno dei suoi collaboratori”.