Home ATTUALITÀ “Berlusconi come lo scorpione di Esopo, lo guiderà l’istinto”

    “Berlusconi come lo scorpione di Esopo, lo guiderà l’istinto”

    “Le antiche regole ‘quirinalizie’ prevedono che si scelga un candidato di basso profilo, non troppo divisivo, sufficientemente schivo da non richiamare troppe (e troppo forti) attenzioni su di sé. Prevedono inoltre che il sullodato non mostri mai troppa smania di farsi votare ed esprima, quantomeno a parole, un irenico distacco da ogni ansia di successo. Tutte regole che il ‘candidato’ Berlusconi fin qui ha più o meno allegramente violato. Pour cause, si direbbe. 

    Tutto l’itinerario politico del Cavaliere sembra infatti essersi svolto all’insegna dell’eccezione e non della regola. E anche questa sua apparente smania di salire sul Colle tradisce più il suo spirito di avventura che non quella cautela che il galateo gli consiglierebbe. L’uomo è fatto così, nel bene e nel male. Come lo scorpione della favola di Esopo, è quasi sempre l’istinto a guidarlo nei momenti cruciali. Anche a rischio di affondare assieme alla proverbiale rana con cui pensava di mettersi in salvo. Si tratta allora di capire quale sia l’istinto fondamentale che lo guiderà in questo frangente. Se sarà quello del combattente oppure quello del negoziatore. Questione su cui viene da consigliare a tutti una certa cautela. 

    Ora, chiunque veda le cose da fuori, con un minimo di distacco critico, segnala che le possibilità di Berlusconi sono assai improbabili, diciamo così. Egli infatti è divisivo, come si ripete da parte di molti. E’ legato, e perfino affezionato, alla controversia. Può contare sui voti del centrodestra, ma forse non tutti. Può sperare nel marasma dei gruppi parlamentati pentastellati, ma certo non più di tanto. Può confidare nelle divisioni altrui, ma non fino al punto di essere eletto. Almeno, questo è quello che viene da dire analizzando le carte, i numeri e le circostanze. Ma soprattutto, Berlusconi incrocia la maggiore difficoltà nei suoi stessi paraggi. 

    E’ il centrodestra infatti il suo vero tallone d’Achille. Certo, i suoi delfini (Salvini, Meloni) non lesinano le amichevoli frasi di circostanza che queste situazioni suggeriscono. Ma è fin troppo evidente che due leader che si sono appena emancipati dalla tutela del proprio capo storico non hanno nessuna voglia di tornare punto e daccapo. E dunque è assai probabile che da quelle parti qualche voto verrebbe fatalmente a mancare. Destino proverbiale di ogni maggioranza troppo risicata. 

    D’altra parte lo stesso Berlusconi ha scelto fin qui di proporsi in modi tutt’altro che ecumenici. Ha evitato di spendere una sola parola garbata di commento al discorso di fine anno di Mattarella. Ha trattato i suoi avversari e antagonisti in modi se non ruvidi almeno assai poco ‘presidenziali’. Ha solo cercato di gettare un amo verso il mondo grillino riconoscendo loro qualche tratto di affinità. Di quelle affinità che però rischiano di indispettire tutti gli altri. Insomma si è mosso in quel modo assertivo e poco felpato che raramente propizia un consenso parlamentare più ampio e trasversale. 

    Si dirà che Berlusconi è Berlusconi, e che il suo modo di proporsi non può cambiare più di tanto. Egli resta la bandiera di una parte del paese e il bersaglio di un’altra, anche se alcune d quelle passioni, e di quelle avversioni, si sono in parte stemperate. E’ quasi fatale, dunque, che il suo nome divida più di quanto non ci si aspetta da un capo di Stato -almeno agli inizi del suo cammino. Così, viene da pensare che in realtà neppure il capo storico del centrodestra immagini davvero di finire il suo cammino da capo dello Stato. E per quanto i rumours provenienti da Arcore e dai suoi dintorni insistano nel descrivere un Cavaliere in armi, pronto alla conta e deciso a perseguire con ogni mezzo il traguardo del Quirinale, è più probabile che tra qualche giorno egli possa virare semmai verso il/la candidato/a a cui offrire i suoi voti e il suo favore. Sapendo che dalle nostre parti il king maker vale quasi quanto il re che viene incoronato ogni sette anni dal nostro peculiare rito repubblicano” (di Marco Follini).