Calugi (Fipe): “150mila posti di lavoro liberi nella ristorazione, ma gente rifiuta”

“In questo momento, nella ristorazione ci sono 150 mila posti di lavoro ‘liberi’. I ristoratori continuano a non trovare il personale che stanno cercando. La gente, per diversi motivi, rifiuta il posto di lavoro offerto”. Così, con Adnkronos/Labitalia, il direttore generale di Fipe-Confcommercio, Roberto Calugi, dà una stima dei posti di lavoro ‘vacanti’ nella ristorazione tra camerieri, barman e cuochi, e che gli imprenditori non riescono a ‘coprire’ con le ricerche di personale.  

E per Calugi sono tre i motivi sostanziali che non permettono alle imprese di trovare le professionalità richieste. “Innanzitutto, e questo a nostro parere è il freno più grosso, è l’intercettezza che circonda il settore dopo le continue riaperture e chiusure di questi mesi. Tantissimi -continua- si chiedono se lanciarsi in questo comparto per poi rischiare di restare di nuovo senza lavoro a ottobre. Noi invece crediamo, e lo diciamo, che ormai quella sia una parentesi chiusa e che il nostro settore non si fermerà più”, continua.  

“Oggi i ristoratori, spesso e volentieri, si trovano davanti persone che rifiutano il posto di lavoro che gli viene offerto o che chiedono di essere pagati in nero per non perdere i diversi sussidi statali di sussistenza”, continua Calugi.  

Poi, a mancare, continua Calugi, “sono anche coloro che in passato, specie nelle grandi città, associavano il lavoro ad esempio da camerieri part-time allo studio”. “E poi ci sono tutti coloro che non vogliono perdere i vari sussidi di sussistenza statali”, dice. Una situazione che, sottolinea Calugi, non fa male solo alla ristorazione ma all’intero sistema di accoglienza italiano. “I turisti stranieri -conclude- arrivavano in Italia soprattutto per la ristorazione, che è soprattutto attività di sala, non solo di cucina, con la capacità di accogliere e fare stare bene i clienti. Capacità e competenze che con questa situazione si perdono”. E per Calugi permettere il cumulo del reddito di cittadinanza con quello di un contratto stagionale “è una proposta di buon senso, ma a breve termine”. Questo perché, per Calugi, “per risolvere i problemi nell’incrocio domanda-offerta di lavoro, serve un intervento strutturale sulle politiche attive”.  

“E per dirla in modo diretto – chiarisce – non è possibile che una persona possa rifiutare 3-4 offerte di lavoro senza perdere qualsivoglia reddito di sussistenza, come accade invece in altri paesi. E questo accade invece in Italia perché non c’è un tracciamento delle offerte di lavoro che un soggetto riceve e che rifiuta. E quindi serve una riforma delle politiche attive in questo senso”, conclude.  

 

(di Fabio Paluccio)