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Diabete, la storia: “Sei anni fa ho scelto un pancreas artificiale fai da te per mio figlio”

(Adnkronos) – Il nome parla chiaro: “We are not waiting”. Lo ha scelto una comunità di genitori di bimbi e ragazzi con diabete di tipo 1 come ‘hashtag’ per un movimento nato e cresciuto online in tutto il mondo, con l’obiettivo di dare “una risposta al bisogno di sistemi automatizzati di somministrazione di insulina fin dalla tenera età”. Questa comunità “si è detta che le aziende stavano andando troppo lentamente per soddisfare le necessità dei bambini, degli adolescenti con diabete di tipo 1 e delle loro famiglie”, e ha “deciso di unire gli sforzi a livello globale. C’era chi faceva il programmatore informatico, chi l’ingegnere. Sono state messe insieme competenze e si è deciso di cominciare a lavorare su un algoritmo da produrre open source in una rete aperta a tutti noi che volessimo contribuire. Pian piano, con le correzioni e le modifiche di tutti, questi algoritmi hanno preso vita e sono stati resi disponibili a tutta la community”. Nascono così i primi pancreas artificiali ‘fai da te’, in gergo Diyaps (Do-It-Yourself Artificial Pancreas System). 

A raccontarne la genesi all’Adnkronos Salute è una mamma che ha fatto 6 anni fa questa scelta per suo figlio, Elena Frattolin che oggi, in rappresentanza di Diabete Italia – Idf Europe, ha parlato proprio di questo tema a un evento che si è tenuto a Berlino. Un meeting fra tutti gli attori del settore. “Io sono ingegnere – ripercorre Elena – e, devo dire, all’inizio ho preferito studiare per 3 anni per capire bene come funzionava. Volevo essere sicura di poter mettere mio figlio nelle mani di quel sistema, volevo garanzie, volevo vedere cosa stava succedendo”. La diagnosi di diabete di tipo 1 per il figlio è arrivata a 13 anni. Il pancreas artificiale fai da te “ha cominciato a usarlo intorno ai 18. Oggi sono 6 anni che gestisce così la sua malattia. Questo sistema è una delle cose che gli ha permesso di vivere una vita serena, di fare quello che riteneva. Noi abitiamo a Udine, lui è andato all’università a Padova, ora è in Olanda” sempre per motivi di studio. 

I ragazzi con diabete di tipo 1, spiega Frattolin, sono “persone che convivono con una patologia cronica che richiede di prendere un numero elevatissimo di decisioni h24, per 365 giorni all’anno, per una gestione corretta. Ciò comporta uno stress psicologico molto elevato. Per avere un compenso glicemico decente occorre affrontare tutta una serie di problematiche. I bambini e i loro genitori incontrano difficoltà nella gestione della malattia fra i banchi di scuola, per esempio. Anche lo sport diventa un’impresa: è capitato che a qualcuno di questi ragazzi dopo la diagnosi venisse consigliato di lasciare e dedicarsi ad altro. Ma un bambino a 7-8-10 anni ha tutto il diritto di sognare di diventare il futuro Maradona” o la futura Paola Egonu.  

Molti genitori, poi, testimonia ancora Frattolin, “prendono la decisione di lasciare il lavoro per poter essere sempre disponibili” per la gestione della patologia dei figli. “E potrei andare avanti per ore. Ma questi esempi – evidenzia – rendono l’idea di quanto profondamente fosse sentita la necessità di un sistema automatizzato dalla comunità dei genitori. Tutti noi genitori vogliamo innanzitutto il miglior compenso glicemico, vogliamo tutelare la salute dei nostri figli dalle complicanze che a lungo andare possono presentarsi. Ma non c’è solo quello. C’è la necessità di gestire anche gli altri fratelli, che spesso soffrono molto dell’attenzione concentrata tutta – gioco forza – sul fratello con la patologia. Per un genitore è difficile anche poter lasciare il proprio figlio piccolo a una baby sitter. Deve fare i conti con interventi continui, quando il bambino dorme, mentre gioca o fa una merenda con i compagni”.  

Interventi che, continua la mamma, “spezzano la normalità della vita, creano anche la sensazione di essere diversi, e non autonomi e indipendenti come gli altri. Quindi sì, io sono passata a questo sistema perché è un sistema di cui avevamo tanto bisogno e quando abbiamo cominciato non erano disponibili. Oggi finalmente le case farmaceutiche si stanno muovendo, abbiamo qualche sistema approvato anche in Europa, non abbiamo tutti quelli che servono. L’impegno della community online sui Diyaps sembra aver fatto da spinta propulsiva e ora speriamo che gli enti regolatori, le aziende, gli specialisti e tutti gli autori, seduti insieme attorno a un tavolo, come sta succedendo a Berlino, possano discutere e capire dove possiamo andare, capire l’urgenza di alcune scelte”.  

“La nostra – riflette Frattolin – è stata una scelta che, vista dall’esterno, poteva essere ‘criticabile’, perché ti affidi a un sistema non approvato. Ma va considerato che c’è tuttora un bisogno ancora non pienamente soddisfatto di una terapia che deve essere creata a misura del paziente. E i pazienti non sono tutti uguali, serve personalizzazione. Un bambino o un ragazzo più sportivo hanno un bisogno di insulina minore rispetto a un bambino sedentario e, altro esempio, ho visto bimbi di pochi mesi con sensori troppo grandi per loro, sproporzionati. La terapia deve essere sartoriale”.  

Adesso cosa manca? “Auspichiamo da tempo un position statement – dice Frattolin – Sicuramente i diabetologi da un lato non possono impedire di utilizzare questi sistemi fai da te, e dall’altro non devono neanche spingere in quella direzione. Ma è importante che le società scientifiche prendano atto che questi strumenti esistono e diano anche delle indicazioni, perché non sia il ‘Far West’, perché i pediatri si sentano un po’ più rassicurati”.  

Poi, conclude, a Berlino “abbiamo messo l’accento sull’importanza che le approvazioni di questi strumenti automatici avvengano con la stessa rapidità anche per i bambini più piccoli, per i quali oggi i tempi sono molto più lunghi e questi piccoli rischiano di restare indietro con la tecnologia”. Quindi il messaggio dei genitori è: “Fate presto, fate bene, fate tanto, perché ci sono esigenze diversificate che aspettano risposta”.