EUTANASIA SILENZIOSA: IL RACCONTO DI UN INFERMIERE di Ilaria Grimaldi

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    Un infermiere, caposala al Careggi di Firenze, cattolico praticante, ha raccontato ieri a Matteo Pucciarelli, giornalista di ‘Repubblica’, l’assurda verità che si cela ogni anno nei reparti degli ospedali italiani, una verità che fa riflettere e che parla di decine di casi di quella che il  professionista definisce “eutanasia silenziosa”: ” Per noi è un fatto di tutti i giorni. Lo affrontiamo con grande difficoltà, ma sicuri di fare sempre la cosa più giusta”. L’uomo si definisce cattolico praticante, ma spiega che “qui Dio non c’entra nulla. Sono un professionista, ho studiato. Se teniamo in vita artificialmente un paziente, siamo noi che ci stiamo sostituendo a Dio…”; al contempo vuole raccontare la sua storia “con il buonsenso di chi sta in prima linea” e parla di una trentina di casi all’anno nel suo reparto, descrivendo quel confine sottile tra eutanasia e ciò che è accanimento terapeutico: “Dal punto di vista normativo siamo obbligati a nutrire e idratare anche un vegetale. In queste condizioni un paziente può andare avanti per mesi, o anni”. Quindi l’infermiere prende spunto dal caso Englaro per evidenziare: “Ho perso il conto di quanti malati ho visto così. E da fuori, quando si sta bene, non ci si rende conto di quanto sia facile ritrovarsi in quelle condizioni. Il caso Eluana ci diede una lezione: nessun riflettore, silenzio sulla materia con l’esterno. Poi però mi chiedo se è giusto omettere la verità”. Secondo l’uomo, di fronte alla domanda “Non abbiamo spiragli, insistiamo?”, “in pochi rispondono di sì, morire a volte è una liberazione”. L’infermiere sottolinea quale sia il rischio di certi modi di agire: “Avessimo lo scudo del testamento biologico, sarebbe tutto più semplice. Capita che un parente ci faccia capire qualcosa e poi cambi idea. Ed è normale, perché subentrano sentimenti e paure, sensi di colpa, la speranza dell’impossibile o del miracolo. Oppure non tutta la famiglia è d’accordo, i genitori ad esempio tendono a non rassegnarsi, generi o nuore invece sono più pragmatici”. Le ultime parole che l’infermiere riserva all’intervista lasciano di sasso: “Prima il medico o un prete erano considerati i padroni della vita o della morte. Oggi non ci sono più tabù: il malato sa che ha dei diritti, compreso quello di gestire per sé anche l’ultimo passaggio”.

    EUTANASIA SILENZIOSA: IL RACCONTO DI UN INFERMIERE di Ilaria Grimaldi