GERMANIA, 29 GENNAIO 1933 – VIGILIA DELLA NOMINA DI ADOLF HITLER A CANCELLIERE DEL REICH

    untitledAccadde esattamente 83 anni fa. Il 29 gennaio del 1933 il mondo intero era ancora inconsapevole del fatto che ciò che sarebbe accaduto il giorno seguente avrebbe cambiato le sorti dell’intera umanità. Il 30 gennaio, infatti, il presidente tedesco Paul Von Hindenburg nominò Adolf Hitler, già capo del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, cancelliere del Reich. Appena un mese dopo, e precisamente il 27 febbraio, l’improvviso incendio del Reichstag, sede del Parlamento nazionale, offrì al governo il pretesto per attuare un’operazione di polizia contro i nemici comunisti e adottare misure eccezionali volte a limitare la libertà di stampa e di riunione nello Stato. Del misfatto venne, infatti, accusato un comunista olandese, prontamente arrestato. Nel corso dello stesso anno, Hitler provvide a trasformare, sul piano legislativo, il sistema democratico tedesco in un regime totalitario e autoritario. Il Parlamento stesso, attraverso la famosa “legge suicida del Parlamento”, meglio nota come “legge sui pieni poteri”, rinunciò alla propria prerogativa legislativa, concedendo i pieni poteri a Hitler, messo ormai nelle condizioni di poter persino apportare cambiamenti alla Costituzione. Sempre nel 1933 fu poi sciolto il Partito Socialdemocratico, da sempre egemone in Germania: l’unico partito legalmente riconosciuto rimase quello nazionalsocialista. Nel 1934, poi, alla morte di Von Hindenburg, il Fuhrer Prinzip poté unificare nella sua persona la carica di cancelliere, e quindi primo ministro del Reich, e quella di Presidente della Repubblica, diventando di fatto capo dello Stato tedesco e, pertanto, anche detentore dell’autorità suprema dell’esercito. Questo accentramento dei poteri si consolidò sempre più velocemente e in maniera di volta in volta più cruenta. Durante la cosiddetta “notte dei lunghi coltelli”, com’è noto, il reparto paramilitare delle squadre d’assalto SA, guidato dal generale Rohm, venne annientato e sostituito da una nuova forza di polizia, le SS, squadre di difesa. In poco tempo il Fuhrer riuscì a riscuotere ampi consensi, dentro e fuori dalla Germania, utilizzando diversi strumenti di controllo, quali organizzazioni di massa e mezzi di comunicazione e di propaganda. Gli obiettivi di politica estera si intrecciarono ben presto con le scelte nazionali. Dietro a tutto continuava a celarsi la certezza di un antisemitismo. La definizione dell’identità dell’ebreo, facilitata dalla consultazione degli Archivi di Stato e dalle leggi di Norimberga emanate nel 1935, venne presto seguita dall’espropriazione a questi dei diritti di cittadinanza. La fase del concentramento nei campi di lavoro, accompagnata, per alcuni ebrei, dall’obbligo di risiedere nei ghetti o in parti specifiche delle città, fu la conseguenza naturale di quanto già pianificato. Il disegno della soluzione finale, attuata tra il 1941 e il 1942, iniziava a delinearsi. Per concludere va, tuttavia, precisata una questione. Non tutti sono concordi nel rilevare una connessione causale tra Auschwitz e Mein Kampf, il diario scritto da Hitler nel 1925 e contenente già gran parte del suo odio razziale. A differenza dei cosiddetti intenzionalisti, che tendono infatti a porre un nesso diretto tra i due fatti, la prospettiva funzionalista appare molto più accreditata. Di fatto la soluzione finale fu il frutto di una serie di circostanze e, senza dubbio, servendoci delle parole dello storico Engel, possiamo affermare che “ci fu un cammino tortuoso verso Auschwitz”.

    Martina De Vito