Hong Kong: Riprende il braccio di ferro tra studenti e governo per la democrazia – di Francesco Riva

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    Si riaccende il focolaio della democrazia nella regione amministrativa speciale cinese. Domenica sera gli i manifestanti , tornati in mole nelle strade, hanno puntato il palazzo del Governo trovando la dura opposizione della polizia civile di Hong Kong. Gli scontri son proseguiti tutta la notte assistendo a una vera guerriglia urbana dove le forze dell’ordine cercavano di arrestare l’avanzata dei rivoluzionari cercando di espugnare le roccaforti improvvisate dagli studenti. La nottata ha portato decine di feriti, quaranta arresti e lo sgombero da parte delle forze dell’ordine degli accampamenti nel tunnel Lung Wo e nel Parco di Tamar.

    Leung Chun-ying, leader del governo locale di Hong Kong, ha esortato, non senza  minacce,  i manifestanti a desistere dai loro intenti

    “Non vogliamo arrestare persone durante lo sgombero. Avranno la fedina penale sporca e le loro possibilità di studiare e lavorare all’estero saranno compromesse. Da oggi in poi, la polizia svolgerà il proprio dovere in modo risoluto. Chiedo agli studenti che stanno pensando di tornare stanotte nella zona occupata di non farlo.”

    Inquietante la timidezza dei governi occidentali, rei di non aver condannato apertamente la politica di repressione attuata da Pechino nei confronti dell’ex colonia britannica; inquietante in quanto abbiamo da una parte un impressionante numero di cittadini che chiedono a gran voce un sistema elettivo democratico a suffragio universale e dall’altra il governo cinese che in risposta alle manifestazioni che due mesi fa bloccarono Hong kong per diversi giorni, dopo aver palesato l’intenzione di sedersi a un tavolo per discutere con i manifestanti, ha indetto una votazione riguardante la modalità delle prossime elezioni del 2017 riservandosi però un comitato di grandi elettori perlopiù fedeli al partito comunista cinese.

    Il silenzio occidentale proviene probabilmente dal timore di perdere accordi faticosamente raggiunti con Pechino ma il punto è che la questione non dovrebbe riguardare equilibri internazionali ma piuttosto elementi basici di filosofia politica come il contratto sociale. Una collettività di individui limita le proprie libertà a favore della volontà generale per avere, spicciolamente, protezione e per avere una comunità efficiente. Dal momento in cui gli individui della comunità disconoscono i “saggi” che li governano, giustamente o meno, e chiedono di eleggere autonomamente nuovi “sovrani”, nuovi “saggi” non vi è più alcuna validità ontologica del contratto tra i governatori e i cittadini, se non quella della sottomissione dichiaratamente prepotente, e la legittimità della prepotenza in Occidente non può e non deve essere tollerata.

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