I bambini e la violenza domestica, parla la psicologa Simonetta Gentile – di Linda Perna

    “Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano).” Con questa citazione famosa, Antoine de Saint-Exupéry, molto probabilmente volle far intendere quanto gli adulti siano presi dalle faccende e dallo scorrere del tempo, dalla serietà, lasciando in un angolo la spensieratezza giovane e libera come quella di quando si era bambini, perché non c’è nulla di più puro e bianco di un bambino: sincero, libero e spontaneo. I bambini vanno sempre difesi e tutelati in qualsiasi scelta sociale, personale, familiare ma spesso si ritrovano a dover scontare le pene di qualcun altro, a pagare anche a caro prezzo, dal punto di vista psicologico o anche fisico, le scelte sbagliate di qualcun altro. Magari di un genitore alcolista, di un padre violento o di una madre problematica. Qualsiasi sia la motivazione i bambini andrebbero sempre e comunque difesi da determinate situazioni grazie anche all’intervento dei servizi sociali o da qualsiasi altro segnale di allarme che viene percepito riguardo un determinato contesto. Quando però non sono loro ad essere sfiorati ma bensì, assistono anche passivamente ad un episodio violento, l’impatto si può definire assolutamente lo stesso. Simonetta Gentile, responsabile di psicologia clinica del Bambino Gesù, dice la sua proprio in occasione di una statistica Istat dai risvolti tragici, in cui risulta in aumento la percentuale dei figli che hanno assistito a episodi di violenza sulla madre. “Assistere ad episodi di violenza molto importanti o a una quotidiana conflittualità tra i genitori ha un effetto traumatico sui bambini che può essere paragonato a quello dell’abuso fisico e del maltrattamento. Da una parte c’è un aspetto perverso da parte del genitore, che è quasi come se volesse avere come spettatori i figli, dall’altra c’è un effetto transgenerazionale- spiega- spesso chi agisce con questa modalità è stato a propria volta vittima di violenza assistita”. Queste le parole della Gentile che analizza in profondità quanto può essere traumatica la partecipazione a determinati episodi, quanto possano poi influire nella vita del bambino, del ragazzo e dell’uomo che un giorno diventerà. “Il bambino- aggiunge Gentile- reagisce in modo diverso e con comportamenti opposti: ad esempio può ritirarsi, isolarsi. Spesso, soprattutto se un po’ più piccolo, si sente quasi colpevole perché non riesce a darsi una spiegazione, mentre se è più grande vi può essere l’identificazione con l’aggressore che porta a propria volta ad esprimere aggressività e a mettere in atto comportamenti antisociali”. Oltre ad attuare quindi un probabile comportamento di isolamento e sfiducia nei confronti del prossimo, può chiudersi in se stesso e quindi non accettare quanto è accaduto, oltre a non spiegarselo, darsene una colpa e tenersi dentro quel peso fino a sfociare in comportamenti aggressivi e sbagliati. Un ruolo importante sicuramente può essere quello delle insegnanti, fondamentale nella vita del bambino, a prescindere dall’età, possono captare i comportamenti ambigui e valutare come intervenire attraverso il dialogo e in casi estremi l’aiuto con persone competenti e specifiche al problema. “E’ difficile che i bambini ne parlino, raccontino, il fenomeno viene più spesso fuori dalla capacità delle madri di chiedere aiuto, ma è importante quando gli insegnanti si rendono conto che c’è un disagio, che si esprime attraverso disturbi dell’attenzione, difficoltà di integrazione” sottolinea l’esperta, aggiungendo che successivamente nelle valutazioni psico-diagnostiche è fondamentale guardare al contesto emotivo e relazionale in cui il piccolo è inserito, includendo entrambi i genitori. “Solitamente si interviene con interventi integrati a carico del bambino e della famiglia, con psicoterapia familiare o di coppia” evidenzia.violenza-domestica21