Il figlio di Saul – Dopo il Golden Globe il film è candidato all’Oscar

    saulL’impresa di un padre nel cercare il corpo del figlio morto per dargli una degna sepoltura, diventa la missione della sua vita. Il figlio di Saul racconta questo, dentro all’orrore di un lager nazista. Il film è diretto dall’ungherese se László Nemes, un esordiente di 37 anni dal talento e coraggio cristallini che ha perseguito l’idea di realizzare un’opera “che nessuno voleva produrre perché troppo rischiosa”. Ma lui non si è mai arreso, esattamente come il suo protagonista Saul Ausländer, ed è riuscito a girare una pellicola che il mondo gli sta riconoscendo quale straordinaria con il Golden Globe già vinto come miglior film straniero e la nomination all’Oscar.

    La pellicola è uscita nelle sale italiane il 21 gennaio, ed è a ragion veduta uno dei titoli più celebrati dalla critica cinematografica della stagione. Alla presentazione alla stampa romana odierna il film era accompagnato dall’attore protagonista, lo scrittore e poeta magiaro Géza Röhrig. È lui ad incarnare Saul, incaricato dalle SS di aiutarli nelle attività di sterminio presso il forno crematorio di Auschwtiz nel 1944: l’uomo crede di riconoscere il proprio figliolo adolescente in uno dei cadaveri. Che sia o no proprio suo figlio poco conta, Saul decide che il corpo del ragazzo vada onorato con la preghiera funebre ebraica, il Kaddish. Per questo si mette alla ricerca di un rabbino che possa recitarla con lui, mentre ripone il cadavere in un luogo protetto e segreto. La tragica vicenda è verosimile a tante storie avvolte nei stermini dei lager.

    Il figlio di Saul ci porta dentro all’inferno dello sterminio facendone sentire sulla pelle tutta la sua brutalità. L’attore, che vive a New York da 15 anni, ha visto il film per la prima volta a Cannes lo scorso maggio quando fu presentato in prima mondiale: “È stata un’esperienza sconvolgente e straziante anche per me, e ciò che maggiormente mi ha colpito è stato il suono: sapevo il lavoro questo aveva comportato ma non immaginavo riuscisse ad ottenere così perfettamente le reazioni intenzionali, ovvero quelle di un pugno nello stomaco senza alcuna commozione o pietà”.

    Federica Manetto