Il ritorno al cinema di Almodóvar alle prese con storie di ordinaria follia. di Giulia Fabbrini

Cosa accomuna una giovane sposa, un autista infuriato, un ingegnere fallito, un uomo esasperato, una cameriera di provincia e un padre di famiglia? L’essere protagonisti di alcune Storie pazzesche. Questo il titolo dell’esilarante pellicola del regista argentino Damián Szifron prodotta da Pedro Almodóvar; una commedia diversa dalle solite, dal retrogusto un po’ noir, che si sviluppa in sei diversi episodi, scollegati l’uno dagli altri ma intrecciati attorno a un unico, preciso obiettivo: la vendetta. 120 minuti di film e non sentirli, venendo inevitabilmente trascinati dal ritmo di sorprendenti gag e incalzanti sceneggiature.

Fino a che punto i torti, i tradimenti, le frustrazioni e i rifiuti subiti possono stravolgere l’indole di un individuo e fargli commettere le azioni più impensabili pur di pareggiare i conti? Probabilmente, è ponendosi questo interrogativo che Szifron ha deciso di mostrare come dei sentimenti estremi come la collera o appunto la sete di vendetta possano far emergere il lato più bruto della natura di ognuno di noi. E l’ha fatto presentando sei storie venate di una comicità surreale e alternativa, accolta da giudizi positivi da critica e pubblico. Geniale, divertente, adrenalinico sono solo alcuni degli apprezzamenti rivolti alla pellicola da quando è uscita nelle sale italiane l’11 dicembre. A tal proposito, tra gli altri, c’è chi considera questo film una “boccata d’ossigeno” nel contesto cinematografico di questo periodo in cui i “cinepanettoni” sono all’ordine del giorno con la loro tradizionale dose di parole d’amore e scene di felicità. Presentandosi propriamente come un “anti-cinepanettone”, Storie Pazzesche vuole al contrario mostrare come la vita non sia quasi mai una favola a lieto fine e come la natura selvaggia di ognuno si possa sempre risvegliare nella lotta darwiniana della vita di tutti i giorni.