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‘Il Signor Diavolo’, Avati e l’horror del cuore

Oltre 40 anni fa (era il 1976), aveva fatto saltare in piedi sulle poltrone gli spettatori dei cinema italiani con il terrificante ‘La casa dalle finestre che ridono‘. Negli anni poi l’ottimo Pupi Avati ha raccontato la poesia dei tempi, l’innocenza della provincia e, non di rado, anche vizi e virtù dell’essere umano.

Nato jazzista a Bologna, negli anni il regista, particolarmente ‘prolifico’ e ‘miracoloso’ (ha trasformato ‘Pecorino’ nel grandissimo Carlo delle Piane), ha regalato alla nostra cinematografia pellicole intense ed emotive come ‘Una gita scolastica‘, ‘Festival‘, ‘Regalo di Natale‘, ‘Magnificat‘, o ‘La cena per farli conoscere‘ ed ora, per la serie ‘il primo amore non si scorda mai’, è tornato a girare un thriller.
Il prossimo 22 agosto infatti, grazie a ’01 Distribution’, arriverà nei cinema ‘Il Signor Diavolo‘, prodotto dalla Duea Film con Rai Cinema – ed in collaborazione di Ruggente Fil – con un cast ‘avatiano’ di tecnici ed attori per eccellenza (”Ho voluto richiamare cari amici ed attori, così come tecnici e maestranze: da ‘Sergio Stivaletti agli effetti, ad Amedeo Tommasi alle musiche), composto per l’appunto da attori come Gianni Cavina, Lino Capolicchio, Massimo Bonetti, Alessandro Haber, e Andrea Roncato.

Avati: l’horror, sbnobbato a vantaggio delle commedie

Premettendo che in questo film il regista porta sul grande schermo molto della sua infanzia in bianco e nero, e delle sue paure di bambino, Avati presenta ‘Il Signor Diavolo’ come “Una storia che meritava di essere raccontata, mi appartiene profondamente: chierichetto professionale nella chiesa di San Giuseppe in Emilia, conobbi un cattolicesimo molto superstizioso, ed ecco questa favola contadina, con l’atavica paura del buio’. I nostri autori ombelicali rifiutano il genere – tiene poi a sottolineare il regista – ma il nostro cinema è stato fortissimo finché non l’ha disatteso, e penso alla sfrontatezza di Sergio Leone che da Trastevere si è inventato il western. Questo copione è stato rifiutato da sei distribuzioni, che non considerano più il genere: solo commedie, per di più con la panchina corta, una squadra ristretta. Frequentare generi non è disdicevole, questo film è una forma di provocazione. Il Signor Diavolo – continua Avati – è un film di identità’, ed al centro, ovviamente, c’è il male. Il diavolo è sinonimo di male, abbiamo fatto conquiste in tutti i campi ma lì ci siamo distratti. Il male sopravvive in modo efficace ed efficiente, io stesso se mi guardo allo specchio sono portatore di male. Per esempio, mi sono trovato a godere di chi è scivolato. Poi, c’è il male per il male, fatto gratuitamente: di recente, l’ho subito, il disturbo mentale nelle mani di chi può nuocerti è diabolico. Il diavolo è ovunque in chiunque, una considerazione molto attuale quella del film”.
Il regista, che ha annunciato – “finalmente” – di accingersi a girare un film su Dante (“Hanno raccontato la vita di tutti, anche di Totti, di Dante non ancora: credo lo meriti”), ha ambientato questo film nei primi anni Cinquanta della grigia provincia del Nord-Emilia. Qui va in scena l’assassinio di un ragazzino ritenuta dalla comunità un impossessato, e responsabile di orribili nefandezze. Le indagini sveleranno i chiaroscuri di una realtà chiusa ed attraversata da poteri locali e torbide relazioni. Un thriller di chiara intenzione gotica, a proposito del quale Avati spiega: ”Non è solo di paura, l’horror gotico, ma suppone e prevede una sacralità: nel mio immaginario c’era una dilatazione del sacro, quella figura che è il sacerdote preconciliare, che dal pulpito poggiava gli occhi su di me. Credo che la mia piccola creatività sia nata da questa paura”, ma si sa, aggiunge, “questo genere deve spaventare”.
Max

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Di
Max Tamanti