IN AULA DAVANTI ALLA COPPIA DELL’ACIDO IN RAGAZZO SFIGURATO


Stefano Savi, lo studente universitario sfigurato al volto per mano, secondo l’accusa, della cosiddetta ’coppia diabolica’, è entrato nell’Aula del processo milanese a carico di Alexander Boettcher, amante di Martina Levato. Il ragazzo è seduto all’interno dell’aula dove è entrato da un ingresso secondario. Il pm Marcello Musso ha invitato i fotografi e le telecamere a non riprenderlo, perché “l’identità delle persone offese va tutelata, identità che è stata cancellata” dall’acido. Savi, studente dell’Università Bicocca di 25 anni, si trova nell’aula con a fianco i suoi legali, gli avvocati Andrea Orabona e Benedetta Maggioni. Il giovane, con il volto sfigurato dall’aggressione subita il 2 novembre 2014, ha dovuto subire numerose operazioni chirurgiche e in aula è arrivato indossando in testa un cappello. Secondo le indagini, Martina e Alexander, assieme al presunto complice Andrea Magnani, avrebbero aggredito Savi mentre tornava da una serata in discoteca per uno scambio di persona, perché il vero obiettivo sarebbe stato il fotografo Giuliano Carparelli. Assiste all’udienza del processo anche un’altra delle parti civili, lo studente Antonio Margarito che avrebbe subito un tentativo di evirazione da parte di Martina. Alexander Boettcher, il broker accusato di una serie di aggressioni con l’acido assieme all’amante Martina Levato, “esprime un forte grado di aggressività e può essere pericoloso per la presenza in aula della persona offesa”, Stefano Savi, che venne sfigurato nel novembre 2014. Con queste motivazioni il pm di Milano, Marcello Musso, si è opposto alla richiesta della difesa del brooker di far uscire l’imputato dalla gabbia per farlo sedere a fianco al legali. Il 15 agosto è nato il figlio di Martina Levato e  Alexander Boettcher. I giudici  hanno deciso che sia la madre che il padre  potranno vederlo ogni tanto. Il caso dell’aggressione a Pietro Barbini e gli altri blitz con l’acido dimostrano, scrive il collegio presieduto da Antonella Brambilla, da parte di Martina “un’assenza di pensiero e di sentimento rispetto alla vita che si stava formando ed una completa preponderanza di aspetti inerenti alla dimensione aggressiva e rivendicativa”. Nel provvedimento, infatti, i giudici ricordano come la studentessa nell’ambito della perizia psichiatrica nel processo abbia sostenuto di “aver agito nei confronti” di Barbini “per purificarsi dai rapporti sessuali intrattenuti con soggetti diversi dal suo partner e poter così diventare una madre e una compagna degna”. Ed è proprio da questa confessione motivata che si evince, secondo il Tribunale, “come la donna avesse subordinato il progetto procreativo e genitoriale al programma criminoso, sprezzante, non solo delle possibili conseguenze sul piano della propria libertà personale, ma anche di quelle che sarebbero ricadute fin dai primi mesi di vita sul bambino, sulla propria possibilità di prendersi cura di lui”. E così il bimbo non pare “espressione dell’amore di due genitori che vedono” in lui “la realizzazione della propria unione”, ma “anzi sembra essersi sviluppato insieme al progetto criminoso”. I magistrati elencano, oltre ai gravi fatti commessi, anche una serie di valutazioni “allarmanti” sulle personalità di Martina e Alexander: lui ha una “componente sadica” e lei una “mancanza di empatia” che si è manifestata anche “nel corso della gravidanza come incapacità di immedesimarsi, assumere un atteggiamento tutelante nei confronti del bambino”. Da qui la conclusione del Tribunale che la coppia, tra l’altro composta da due “detenuti”, non è “in grado, per quanto emerso sinora dagli atti, di potersi occupare adeguatamente del figlio”. Bimbo che in tarda mattinata è stato, dunque, dimesso dalla clinica e affidato ai servizi sociali del Comune di Milano (tutore provvisorio è il sindaco Pisapia) per essere collocato in una “idonea comunità”. Sarà sempre il Comune a regolare “gli incontri tra il minore e la madre, nonché con il padre” con “modalità protette” e “compatibilmente con il regime detentivo”. I giudici, al momento, hanno collocato il bambino in una comunità e hanno dato tempo fino al 30 settembre ai servizi sociali per espletare una “accurata indagine sociale sul nucleo familiare”.