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In Italia 8mila km di coste sono ‘off limits’ per i piccoli diportisti. Confindustria Nautica: nel 2021 +23,8% di crescita

L’Italia ha oltre 8.000 chilometri di coste e una innata vocazione marittima che coinvolge l’intera struttura socio-economica nazionale. Il Cluster nazionale dell’economia del mare produce il 2,7% del PIL e occupa oltre 500.000 addetti con una localizzazione prevalente nelle aree svantaggiate del Paese”.

Questo recita l’altisonante testo redatto dalla Piattaforma Tecnologica Nazionale Marittima che, all’interno del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, esalta (caso unico in Europa), la grande affinità di un paese con il mare. Ed è vero: siamo una penisola e dunque la battigia costituisce la linea di confine per almeno l’80% del territorio.

Il problema semmai è un altro: incredibile a dirsi, ma nonostante la possibilità di continuo accesso al mare, le attività di diporto sono ad esclusivo appannaggio di pochi – e carissimi – porti o rimesse.

Abbiamo 8mila km di costa ma porti ed attracchi sono ad appannaggio di yacht e panfili ‘esteri’

Nel nostro Paese infatti, godersi l’acqua salata su un gommone o una semplice barchetta è un lusso. Porti e rimesse mirano infatti ad accogliere yacht e panfili – ma anche ‘gommoni d’autore’ – mettendo loro a disposizione attracchi e servizi degni di un hotel a 5 stelle. Sorvolando ora sulla ‘pagliacciata’ rappresentata dalle bandiere esposte (puntualmente tutte straniere), che imprenditori e manager usano come espediente per non pagare le tasse o denunciare costose imbarcazioni, come dicevamo a pochissimi ‘fortunati’ viene concessa la possibilità di cimentarsi nel rimessaggio.

L’odissea tipo di una famigliola che vuol godersi una giornata in mare sul gommone…

Così, pagando comunque salato il servizio, la maggior parte dei ‘navigatori low cost’, sono costretti ad affidarsi alla ‘ruspa’ di qualche stabilimento ben ‘ammanicato’ che, di prima mattina (prima che gli abbonati si affollino tra gli ombrelloni e la riva), ‘libera’ in mare il gommone della famigliola tipo, per poi tornare a riprenderselo a fine giornata, quando anche l’ultimo bagnante prende finalmente la via di casa. Va poi riferito che, una volta affidata l’imbarcazione alle acque, la ruspa viene parcheggiata e, da quel momento comandano – giustamente – le leggi del mare. Dunque, qualora si volesse ‘ancorare’ il natante, questi deve sostare ad almeno 200 metri dalla riva. Quindi il capofamiglia, remando deve riportare moglie e prole sul bagnasciuga quindi, sempre remando, portarsi alla boa che segna i 200 metri e gettare l’ancora. Infine, una bella nuotata per raggiungere i suoi sono l’ombrellone. Tutto ciò sperando che vento e correnti non agitino il mare: in quel caso sono dolori.

Perché le piccole imbarcazioni, che pagano regolarmente tasse e servizi, non hanno attracchi?

Eppure, barche, pilotine, gommoni e minuscoli cabinati, rappresenteano la vastità dei mezzi marini ‘italiani’ che ogni estate solcano i nostri mari. Parliamo di persone che, per forza di cose, pagano bolli, assicurazione, consumano carburante e portano soldi laddove attraccano. Ma sembra non fregare niente a nessuno. Questo indotto ‘sano’ legato al diporto, in Italia è considerato pari a nulla. In Italia, 8mila chilometri di coste, vengono presi in considerazione soltanto i panfili!

Eppure Confindustria Nautica rivela che quest’anno è prevista una crescita settoriale del +23,8%

Proprio oggi ha inaugurato il bellissimo ed emozionante Salone Nautico di Genova e, per l’occasione, il presidente di Confindustria Nautica, Saverio Cecchi, ha tenuto a rimarcare che, giustamente, “Il Salone nautico è un punto fermo. C’era negli anni difficili, a sostenere il comparto, il Salone c’e’ in anni di grande crescita come questo 2021 in cui spinge la ripartenza del Paese.”

Quindi, riassumendo in cifre l’indotto del paese legato alla Nautica, Cecchi ha rivelato che per il 2021 è prevista una crescita del settore pari al +23,8 %, che tradotto in ‘soldoni’ significa un fatturato della produzione nautica italiana superiore ai 6 miliardi. Cifre, numeri, ha tenuto a precisare il presidente di Confindustria Nautica, che

“vengono generati perché noi abbiamo i migliori imprenditori, i migliori manager, i migliori designer, i migliori architetti, abbiamo la migliore mano d’opera specializzata, in sintesi siamo i migliori e questo è il ‘fare’ italiano’“.

Perché Confindustria Nautica non si adopera per facilitare anche il diporto delle gente comune?

Ed allora, gentile signor Cecchi, domandiamo, perché non si lavora ad una ‘politica marina” che, oltre a mettere in moto un’economia alternativa, darebbe ulteriori opportunità di lavoro (specie nei bellissimi mari del Meridione) a tanti giovani disoccupati, creando al contempo ‘onesti’ attracchi e rimessaggi anche per le ‘persone comuni?’ 

Max