La manovra economica piace al popolo ma è sgradita ai poteri forti bancari

    Vari i punti della battaglia che si sta consumando nell’esecutivo sul Def. Centro dello scontro è quanto deficit deve esserci in legge di bilancio. Possibile lo slittamento del Consiglio dei ministri. Anche se il vicepremier Luigi Di Maio assicura che “Non c’è in programma nessuna richiesta di dimissioni”. Da Bruxelles aggiunge che “Oggi ci incontreremo in un vertice di maggioranza allargato, noi, la Lega, il ministro Tria, Conte e i tecnici, faremo le ultime valutazioni in vista del Consiglio dei Ministri – spiega il vicepremier -. Qui non ci si impicca su un numero o su un altro: il termine per il Def è oggi, quindi per quanto mi riguarda il CdM è oggi”.
    In mattinata è circolata una notizia di un possibile slittamento del Consiglio dei ministri per via del mancato accorto tra tra Lega e M5s sul livello del rapporto deficit/Pil da indicare nella nota di aggiornamento del Def. Da quello che si apprende, se le posizioni dovessero rimanere quelle attuali lo slittamento sarebbe necessario per consentire ai vertici delle due formazioni di continuare a trattare sul rapporto deficit/Pil (Agi).
    Il punto su cui si gioca la partita è che, da una parte, il ministro dell’Economia ha posto l’asticella all’1,6%, il M5s ha fatto sapere di non accettare alcuna cifra al di sotto del 2,4%, mentre i leghisti punterebbero al compromesso del 2%.
    “Alla fine al Tesoro sono convinti che l’accordo si farà, con un obiettivo di deficit attorno all’1,8-1,9 al massimo, perché in ballo c’è la tenuta stessa del paese”, scrive l’Huffington Post. Il messaggio di Tra è chiaro: con un deficit troppo alto l’Italia rischia grosso. È questo il punto centrale del giorno in cui il Consiglio dei ministri deve approvare la nota di aggiornamento al Def.
    La nota di Aggiornamento al Def è il documento presentato dal governo a settembre che aggiorna il Documento di Economia e Finanza presentato in aprile e che traccia i principali indirizzi di politica economica dell’esecutivo. A differenza del testo originale, la principale novità riguarda la revisione del quadro macroeconomico di riferimento, tendenziale e programmatico. Si tratta della griglia dei più importanti indicatori di finanza pubblica, dal rapporto deficit/pil al debito, fino alla spesa per interessi. (da Repubblica)
    Nella nota di aggiornamento qualcosa pò essere cambiato nell’indirizzo di spesa dello Stato, ma una spesa eccessiva potrebbe costare all’Italia una procedura di infrazione. Questo il rischio che Tria sta paventando, chiedendo di non arrivare ad un deficit che non sia di massimo due punti percentuali superiore a quello previsto (da 1.6% a 1.8%).
    “Per il ministro sono ore particolarmente difficili”, scrive Corriere della sera, anche perché ieri si è volutamente esposto su una posizione che non appare conciliabile con le richieste di Di Maio e Salvini. Tria infatti, ha scelto di intervenire ieri mattina in un convegno della Confcommercio in programma da tempo (poteva benissimo non farlo, visti gli impegni di questi giorni) per lanciare un ultimo drammatico appello alla ragionevolezza. Il tecnico Tria ha ricordato che al momento di diventare per la prima volta ministro ha giurato di essere fedele alla Costituzione e di operare “nell’esclusivo interesse della nazione e non di altri”. Dove “e non di altri” Tria lo ha aggiunto, appunto, alla formula di rito del giuramento al Quirinale. Non solo”.
    “Il ministro ha sottolineato che “questo giuramento lo abbiamo fatto tutti”, cioè Conte e l’intera squadra di governo, e che lui lo interpreterà “in scienza e coscienza”. “Attenzione”, ha ammonito Tria, a non sfidare i mercati, cioè gli investitori che prestano denaro allo Stato italiano acquistando i titoli del debito: «Se si perde fiducia sulla stabilità finanziaria nessuno investe, se si crede che domani c’è il disastro nessuno compra i nostri titoli”. E si noti la parola disastro””.
    Cosa rischierebbe l’Italia? In questo balletto di percentuali, è utile ricordare che più deficit vuol dire più spesa. E in quella spesa in più (tra riforma delle pensioni, reddito di cittadinanza e aumento delle pensioni, per citare le più note e il taglio delle tasse previsto dalla flat tax) il governo è convinto di rilanciare l’economia del Paese, aumentando i consumi. Ora, in questo quadro, sappiamo che l’Europa che ci chiede una manovra che abbia l’1,6% di deficit, Tria che ne vorrebbe una con un deficit all’1,8%, la Lega rilancia al 2% e i desiderata dei 5 stelle è di una manovra con un deficit al 2,4%. L’Italia non potrebbe, sulla carta, consentirsi un deficit così alto perché il nostro debito è già il 132% di tutto il valore che si produce in Italia in un anno.
    Un aumento del debito vorrebbe dire spaventare gli investitori, quelli che hanno prestato o presteranno i soldi con cui l’Italia vuole finanziare le proprie politiche. Facendo aumentare lo spread, che è il termometro del tasso di interesse su quel debito. Questo dibattito nella maggioranza ha portato oggi lo spread a quota 230. Ora, stando agli esperti, uno spread a 400 significherebbe un problema così grosso per l’economia italiana da essere considerato un po’ il punto di non ritorno. E Tria vuole evitare che troppo debito faccia arrivare il nostro spread a quote allarmanti.
    Ma c’è anche un altro punto. L’Italia con una manovra troppo dispendiosa rischierebbe, come già successo in passato, una procedura di infrazione in Unione europea. La procedura d’infrazione è una conseguenza dalle regole del Patto di stabilità e crescita, che governa le politiche fiscali dei Paesi membri con l’obiettivo di “salvaguardare una finanza pubblica solida”.
    Si articola in due momenti, ricorda La Repubblica: quello “preventivo” segue la definizione dei bilanci degli Stati, orientandoli verso l’obiettivo di solidità. Quando invece i governi deviano, scatta quello “correttivo” che “stabilisce quali azioni devono intraprendere i paesi nel caso in cui il loro debito pubblico o disavanzo di bilancio venga considerato eccessivo”. A regolare la procedura per i disavanzi eccessivi (PDE) è l’articolo 126 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
    Riguarda i Paesi che non soddisfino due criteri: il disavanzo di bilancio non deve superare il 3% del prodotto interno lordo; il debito pubblico non deve superare il 60% del Pil, e qualora fosse fuori da questa soglia sia all’interno di un programma di discesa. Il rapporto dell’Italia tra debito pubblico e Pil è del 132%, seconda alla Grecia che ha un rapporto del 180%.