SPETTACOLI

La notte dello Strega

Istituito nella Capitale nel lontano 1947, su iniziativa di Guido Alberti e Maria Bellonci, e divenuto il più prestigioso premio letterario italiano, è stato poi intitolato alla casa produttrice del Liquore Strega, di proprietà di Alberti. Uno ‘sciroppo’ alcolico’ lo Strega, che a sua volta omaggiava le antiche storie beneventane dedicate alle streghe, un tempo individuate come originarie del comune partenopeo.
Negli anni a seguire poi il premio ha assunto un valore importantissimo, catalizzando l’attenzione e la partecipazione dei maggiori esponenti della cultura e della letteratura italiana. Come ricordò poi la Bellonci, “Cominciarono, nell’inverno e nella primavera 1944, a radunarsi amici, giornalisti, scrittori, artisti, letterati, gente di ogni partito unita nella partecipazione di un tema doloroso nel presente e incerto nel futuro. Poi, dopo il 4 giugno, finito l’incubo, gli amici continuarono a venire: è proprio un tentativo di ritrovarsi uniti per far fronte alla disperazione e alla dispersione”.
La storia ci ricorda che fu Ennio Flaiano – proprio nel 1947 – il primo scrittore a ricevere l’ambito Premio, grazie al suo ‘Tempo di uccidere’.

Scorrendo ‘l’album’ cronologico, salta agli occhi ad esempio che in 70 anni alle donne sono spettate soltanto 11 edizioni, con Elsa Morante (1957) ad aprire la ‘lista rosa’, seguita poi da Natalia Ginzburg, Anna Maria Ortese, Lalla Romano, Fausta Cialente, Maria Bellonci, Mariateresa Di Lascia, Dacia Maraini, Margaret Mazzantini, Melania Gaia Mazzucco e Helena Janeczek.

Ed ancora, tra le curiosità, il personale ‘bis’ di Paolo Volponi, Premio Strega nel 1965 (‘La macchina mondiale’), e nel 1991 (‘La strada per Roma’). A riprova poi dell’infallibilità dei giurati, la controprova rappresentata dalle vendite dei libri premiati. Basti pensare ad un classico come ‘Il Gattopardo‘, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, o all’incredibile ‘Il nome della rosa‘, di Umberto Eco, capace di essere tradotto in tutto il mondo per circa 50 milioni di copie vendute.
Almeno fino al 2014, anno ‘dell’eccezione’, lo Strega ha sempre visto trionfare un unico scrittore, anche se nel 2006 per la ‘Costituzione della Repubblica Italiana’ fu appositamente istituito uno Strega ‘Onorario’ per non insidiare il meritato primo posto del ‘Caos calmo’ di Sandro Veronesi.

Oggi, anno 2018, di qui a qualche ora, nella consueta cornice del Ninfeo di Villa Giulia, cinque finalisti si contenderanno l’ambito riconoscimento. Vediamo da vicino di chi si tratta:

Presentato da Francesco Piccolo, ecco ‘M. Il figlio del secolo’ (Bompiani), di Antonio Scurati. Come si legge nelle note che ne accompagnano la votazione: “Scurati racconta con dedizione e ostinazione la nascita del fascismo in Italia, non tralasciando nessun dettaglio decisivo alla comprensione della nostra Storia, attenendosi ai fatti documentati e appassionando i lettori per pagine e pagine, come hanno dimostrato le reazioni fin dal primo giorno della sua comparsa nelle librerie. Il racconto corale, con al centro la figura di Benito Mussolini, compie il miracolo di farci comprendere come i fatti prendano consistenza e poi potenza in pochi anni, con la complicità dell’indifferenza e della superficialità di un intero popolo. Nonostante quest’anno tra i candidati al premio Strega siano presenti libri e autori che apprezzo, propongo M. di Antonio Scurati perché è un evento nella letteratura italiana, uno dei romanzi importanti dei nostri anni, che merita per questo non solo di partecipare al Premio Strega ma di vincerlo”.

‘Addio fantasmi’ (Einaudi), di Nadia Terranova, come spiega Pierluigi Battista: “In questo romanzo emozionante e profondo Nadia Terranova, come Telemaco alla ricerca del padre Odisseo, torna nella sua città natale e nella casa messinese della sua infanzia alla ricerca di tracce della figura paterna che si è come volatilizzata, rendendosi assente al mondo ma non nella memoria della protagonista. Il padre è scomparso: con ogni probabilità è morto tanti anni prima, ma il suo corpo non è mai stato trovato. E non c’è funerale possibile per un morto che forse non è morto. Mentre Telemaco parte da Itaca per conoscere il destino del padre, Nadia Terranova torna a Itaca-Messina perché attraverso gli oggetti della sua infanzia, gli odori e i colori della sua città, l’atmosfera della casa che la madre ha deciso di mettere in vendita, può finalmente fare i conti con se stessa e con il fantasma di un padre che non c’è più. E mettere a punto, nel tratto di mare che separa Scilla e Cariddi, la cerimonia degli addii indispensabile per continuare a vivere dopo aver portato a termine il lutto.»

E’ Furio Colombo ad introdurre invece ‘La Straniera’ (La Nave di Teseo), proposta dalla scrittrice Claudia Durastanti: “Il romanzo merita attenzione per tre aspetti del tutto insoliti (oltre all’insolito percorso biografico e di lavoro dell’autrice, che è e non è una straniera). Il primo aspetto è certamente il linguaggio. Riflette in modo curioso (sorprendente) una vita, in modo più efficace di un sequenza di notizie. È un linguaggio lontano-vicino, familiare ed estraneo, molto bello e senza alcuna preziosità o deliberata ricerca di stile. Una seconda ragione è la storia, che appartiene, allo stesso tempo, al genere “familiare” ma anche a una sequenza di avventure con scarti sorprendenti rispetto all’attesa abilmente creata. Ovvero si carica e si libera della memoria personale e familiare, spingendo continuamente il lettore a rifare la mappa del mondo e del tempo che sta percorrendo. Infine merita attenzione il talento espressivo (che non è il linguaggio, ma la costruzione del racconto) che rende La Straniera non una raccolta di memorie, ma il punto in cui nasce (anche, ma non solo da ciò che è accaduto) una storia nuova”.

Su ‘Il rumore del mondo’ (Mondadori), di Benedetta Cibrario, Giorgio Ficara commenta invece: “Fondato su minuziosi studi d’archivio e sostenuto da una verve narrativa personalissima, il lavoro di Benedetta Cibrario ci mostra un punto di vista non convenzionale sul Risorgimento: Anne Bacon, inglese malinconica e operosa in un piccolo Piemonte aristocratico, è un personaggio originale in grado di registrare e testimoniare, giorno dopo giorno, ogni impulso di una straordinaria evoluzione storica nel cuore stesso di un mondo arcaico i cui segreti non risultano tuttavia, per nessun aspetto, meno preziosi”.

Infine, Sandro Veronesi fa da ‘apdrino’ a Marco Missiroli ed il suo ‘Fedeltà’ (Einaudi), speigando che: “Ci sono romanzi che sembrano provenire dal futuro. Romanzi che sembrano ritornare a noi, qui e oggi, da un tempo nel quale finalmente molti problemi sono stati risolti, cioè ricondotti alla propria perduta, primordiale naturalezza. Di questi romanzi si usa dire che “fanno epoca”. Fedeltà di Marco Missiroli è uno di essi, e il nodo che vi viene sciolto, nella scrittura soda e però anche fluida e lucente, nei personaggi perfettamente definiti e però anche nella formidabile trazione generata dalla loro dissolvenza l’uno nell’altro, è quello del dolore: è energia vitale, il dolore, null’altro che energia vitale, e la specie umana è concepita per trasmetterselo. Nelle sue pagine risiede la risposta che solo la letteratura poteva dare allo stupore espresso da Freud dinanzi all’incapacità della libido di separarsi dai suoi oggetti, “uno di quei fenomeni che non si possono spiegare ma ai quali si riconducono altre cose oscure”. Il guaio non è soffrire, il guaio è farlo nel modo sbagliato. La sofferenza in questo romanzo è come la miseria in Céline: è liberatoria, viene voglia di viverla”.
Max

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Max Tamanti