LA VICENDA DI RYANAIR È LA SPIA CHE IL SISTEMA DEI BIGLIETTI LOW-COST NON PUÒ RAPPRESENTARE UNA COSTANZA

    “La corsa selvaggia all’abbassamento dei prezzi si deve per forza riassestare perché i costi effettivi sono altri. Il fenomeno low cost si regge sul cambiamento di assetto istituzionale legato alla liberalizzazione del trasporto aereo che ha offerto delle opportunità di arbitraggio. Queste strategie legate all’arbitraggio hanno un po’ drogato il mercato,. Il mercato low cost è destinato a finire – avverte – quando le condizioni a monte non ci sono più”. Così il professore di Economia industriale alla Luiss, Cesare Pozzi, spiega al cronista dell’agenzia di stampa AdnKronos il ‘sistema’ low cost, una sorta di ‘livellatura’ che induce i consumatori a considerare esose le tariffe tradizionali rispetto a queste ultime che, per deduzione, rappresentano invece il giusto. Ma le cose non stanno proprio così. Spesso infatti dietro queste convenienti offerte, vige un mondo ‘irregolare’ con aziende registrate nei paradisi fiscali, dove dipendenti, operai e maestranze sono vincolati da contretti assurdi, al limite della legalità. In questo traballante panorama Rayanair rischia così di diventare il primo colosso low cost prossimo a sgretolarsi, proprio in virtù di un sistema occupazionale a dir poco deficitario. Basti pensare che (premessi i massicci risparmi impiegati nella gestione pratica), dietro alle migliaia di voli cancellati vi sono le pessime condizioni contrattuali dei piloti, pagati ad ore di volo, ormai sfiniti da turni massacranti e senza ferie da mesi. Solo ieri infatti, la compagnia irlandese del ceo Michael O’Leary h dovuto annunciare, di qui al marzo 2018, la sospensione di ben 18mila voli, che coinvolgono qualcosa 400mila passeggeri. Oltre agli interessi locali, che hanno i loro vantaggi a favorire un nuovo scalo aereo, è tuttavia “la liberalizzazione l’elemento più importante – aggiunge ancora l’economista – l’investimento pubblico fatto sugli aeroporti, in Italia ne sono stati costruiti tantissimi. A determinare negli anni passati, in particolare in Italia, il successo del modello di business delle low cost sono stati diversi fattori. Il gioco della domanda e dell’offerta ha cominciato a funzionare anche in questo settore. C’era abbondanza di piloti, che sono quelli poi che hanno generato la crisi, perché molte compagnie di bandiera sono entrate in difficoltà, rendendo così disponibile personale altamente qualificato che era stato formato con un grande investimento, in molti casi pubblico”. E in un contesto apparentemente favorito dall’arbitraggio, spiega anora Pozzi, Rayanai “è stata molto brava a coglierle. “i primi operatori che si sono mossi hanno imposto le loro condizioni, quindi contratti di lavoro non a tempo indeterminato per la maggior parte dei piloti. Di piloti formati ce ne sono sempre meno perché col tempo questo grande investimento pubblico non è stato più fatto. Adesso poi i traffici sono aumentati e c’è anche concorrenza da parte di altri operatori. Piloti di livello non ce ne sono a sufficienza rispetto alla domanda e quindi i prezzi stanno salendo. Anche i finanziamenti dai territori diminuiranno”, inevitabile quindi di qui a poco prevede un riassetto. “Se non è più una infrastruttura il trasporto aereo – osserva l’esperto – come in qualunque mercato ognun per sé e Dio per tutti, Il prezzo in un mercato libero deve riflettere tutti i costi. Ryanair ha disegnato un modello e gli altri lo stanno seguendo. E’ ovvio che se questo modello ha basi fragili perché si basa sul fatto che si erano generate eccezionalmente condizioni di arbitraggio quando queste terminano si va per tutti verso una situazione molto differente. Chi compra quel servizio deve essere consapevole che lo sta pagando adesso a un prezzo basso ma che non necessariamente c’è garanzia di continuità”. Dunque potrebbe non essere escluso un eventuale fallimento da parte dell’aviolinea irlandese’? “Non ho dati – afferma il Prof. Pozzi – ma è una compagnia talmente grande che se è brava a ridefinire il proprio modello di business probabilmente riuscirà a superare questo momento, però si deve ripensare in qualche modo. Certo è che se il nostro sistema europeo gestisse le class action come gli Stati Uniti correrebbe dei rischi molto maggiori”.