L’ALLARME DEL COMPARTO ALIMENTARE MADE IN ITALY CONTRO I DAZI IMPOSTI DA TRUMP

Come ha recentemente sottolineato la Coldiretti per quel che riguarda l’export, nel 2017 il Made in Italy ha segnato un record storico (con un +9,8% rispetto all’anno precedente), toccando quota 40,5 miliardi. Un record che ora rischia però di divenire un bellissimo ricordo, con il rischio di evidenti – drammatiche – ricadute soprattutto per il settore alimentare italiano se, come Trump continua a ripetere, i dazi andranno a rappresenta una sorta di ’barriera’ tra gli Usa e l’Europa. C’è intanto da dire che, secondo il Codacons ipotizza che la guerra dei dazi porterà a “un rincaro dei prezzi al dettaglio in moltissimi settori. Le industrie italiane colpite dagli effetti delle politiche protezionistiche – denuncia il presidente Rienzi, “dovranno aumentare i prezzi per recuperare i guadagni perduti, ma soprattutto eventuali contromisure da parte dell’Ue determineranno rincari a cascata dei listini di una moltitudine di prodotti di largo consumo, venduti in Italia e importati dagli Stati Uniti, come succo d’arancia, alcolici e dolciumi vari”. Come spiega infatti le associazioni dei produttori, “Le esportazioni di cibo e bevande sono aumentare del 6% nel 2017 per un totale di circa 4 miliardi di euro, il massimo di sempre” e, sottolineano, basti pensare come “il vino sia il prodotto più gettonato dagli statunitensi, davanti a olio, formaggi e pasta”. Come spiega infatti il direttore generale di Federvini, Ottavio Cagiano De Azevedo, “Siamo un settore ad altissima vocazione all’export e dobbiamo crescere ancora, quello che noi sogniamo è un mondo, dove i flussi commerciali si muovano più agevolmente possibile nel rispetto delle regole. Dazi e barriere diventano problemi grossi, oggi immaginare che si blocchi o si rallenti pesantemente l’export verso gli Stati Uniti ci preoccupa perché è il primo mercato fuori dall’Unione Europea. Sono valori cospicui, nel 2017 abbiamo esportato negli Usa il controvalore di 1 miliardo e 858 milioni di dollari”. In tal contesto dunque, gli effetti dei dazi potrebbero rivelarsi molto pesanti. “Se si interrompe un flusso di esportazione quel settore si blocca e non è uno scherzo. Nei primi tre mesi si rischia un impatto del 30-35% che, poi, si assesta al 10% perché piano piano si arriva a un equilibrio. Nel sistema produttivo italiano – aggiunge il capo della Federvini – moltissime piccole e medie imprese hanno trovano nell’export motivo di sopravvivenza. Potrebbero non avere la forza di ripartire. Se si blocca il primo mercato si inchioda l’economia, mettendo a rischio le Pmi del settore nel nostro Paese. Questi meccanismi, magari per aziende più strutturate sono complessi, dannosi, però gestibili. Per una piccola sono ingestibili”. Come aggiunge poi intervenendo nella questione Olga Bussinello, direttore del Consorzio Tutela Vini Valpolicella, “Stiamo guardando con preoccupazione a quanto sta succedendo. Sembra per ora orientarsi verso il comparto della meccanica e metallurgia, ma se il discorso si allarga all’agroalimentare il primo prodotto è sicuramente il vino e questo potrebbe diventare un grosso problema per la Francia, ma anche per l’Italia. Gli Stati Uniti rappresentano per l’Amarone il primo mercato di sbocco extra Ue, con una quota di mercato sul totale export del 13%, pari a circa 20 milioni di euro in valore nel 2017. Le esportazioni di Amarone verso gli Usa hanno registrato un’ulteriore crescita in doppia cifra (+10%), incremento in valore più che doppio rispetto alla media nazionale del periodo. Per il Valpolicella la propensione all’export negli Stati Uniti è altrettanto forte, con un valore fissato nel 2017 per Valpolicella e il Ripasso di altri 18 milioni di euro. In totale le vendite di Amarone e Valpolicella hanno sfiorato nel 2017 quasi 40 milioni di euro negli Usa. Sono cifre importanti che è difficile pensare di poter dislocare in altri mercati. Il problema più serio – spiega ancora la Bussinello – è per le aziende, che hanno già in essere contratti pluriennali di fornitura. Se mi sono impegnato a consegnare un certo quantitativo di vino a un determinato prezzo, facendo i calcoli senza i dazi, ora che mi ritrovo a pagarli, rischio di avere un costo in più che andrà a influire per la maggior parte sulla remunerazione finale”. Una situazione emergenziale, sprattuto in virtù del fatto che, al di fuori della Comunità europea, gli Usa rappresentano i primo mercato del ’food’ italiano. Come avverte – “preoccupato” – il presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia, “Non è mai un fatto positivo quando la crescita del commercio mondiale viene ostacolata da dazi e neoprotezionismi. Bisogna tuttavia riconoscere – osserva Scordamaglia – che Trump ha ragione quando afferma la necessità di difendersi da quei Paesi che aumentano le proprie quote di mercato facendo dumping ambientale o sociale. In caso poi di eventuali dazi Usa verso la Ue, non certo accusabile di dumping, l’Unione europea reagisca rivedendo le proprie sanzioni verso la Russia e rilanciando un progetto di maggiore integrazione dei mercati tra Ue e la Federazione Russa”.
M.