POLITICA

L‘asse russo-turco sulle sorti del conflitto in Libia

Nelle ultime ore la crisi libica ha assunto toni opachi. L’escalation di violenza e le ingerenze straniere nel conflitto non fanno che complicare un quadro già di per sé instabile. La Libia è divisa: da una parte c’è Fayez Al-Sarraj, presidente del Consiglio presidenziale di Tripoli, governo nato dagli accordi di Skhirat del 17 dicembre 2015 e riconosciuto dalla comunità internazionale. Dall’altra Khalifa Haftar, generale dell’esercito nazionale libico (LNA), a capo del governo di Tobruk, sostenuto da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Russia e Francia.

Lo scontro tra Putin e Erdoğan

L’incapacità decisionale e l’endemica divisione dell’Europa sulle sorti libiche hanno lasciato ampi margini di manovra a Russia e Turchia. Il presidente Erdoğan ha affermato, durante la conferenza stampa di fine anno, che le forze armate turche sono pronte a sostenere il governo di Tripoli contro Haftar. Il parlamento di Ankara dovrà votare la mozione per l’autorizzazione o meno dell’intervento militare turco. Votazione prevista alla riapertura della camera del 7 gennaio, dopo le festività. Un sostegno che non stupisce. Già il 27 novembre Tripoli e Ankara avevano stretto un accordo riguardo al settore marittimo alla cooperazione militare. Una palese violazione dell’embargo delle Nazioni Unite, istituito con la risoluzione 1970 del 2011, che grava sulla pelle della popolazione civile e incide sul ruolo dell’Unione europea. Sulla Libia ha messo le mani anche la Russia, che da aprile equipaggia con rifornimenti, droni e mercenari il generale di Bengasi. Putin spera così di inserirsi nel contesto nordafricano da cui manca ormai da tempo.

E l’Italia?

Per il momento (e ancora una volta) l’Italia resta a guardare e perde terreno nelle dinamiche geopolitiche che riguardano l’area del Mediterraneo. Come ribadito dal Ministro degli Affari Esteri Di Maio, il nostro governo vuole evitare a ogni costo il conflitto e spinge per una risoluzione pacifica e inclusiva delle parti in causa. Nella conferenza prevista a Berlino a fine gennaio l’Italia dovrà giocare un ruolo fondamentale se vuole porre fine alle violenze e avere una funzione attiva nei confronti di un paese di grande interesse strategico.