MEDICINA, AL GEMELLI UN’ASSOCIAZIONE PER LA SINDROME DI PITT-HOPKINS (PTHS)

     
     
    E’ nata l’Associazione italiana Sindrome di Pitt-Hopkins (PTHS), che riunisce le famiglie dei bambini affetti da questa malattia rara di origine genetica che determina una disabilità intellettiva grave. Sarà presentata al pubblico sabato 20 settembre, alle ore 11, presso il Policlinico Universitario Agostino Gemelli (Aula Brasca, Largo Gemelli 8 Roma) insieme ai medici dell’Istituto di Genetica Medica della Cattolica, Centro di riferimento nazionale per questa malattia rara. All’inaugurazione, che avverrà in occasione del Pitt-Hopkins Awareness Day, interverranno la professoressa Marcella Zollino, docente di Genetica Medica all’Università Cattolica del Sacro Cuore, il dottor Gianluca Vizza Presidente Associazione Italiana Pitt Hopkins – Insieme di più – ONLUS, il dottor Guido Castelli Gattinara, Responsabile Formazione Internazionale in Pediatria – programma Abilita Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, e il dottor Claudio Buttarelli Presidente Movimento Italiano Malati Rari Onlus.
    “Far uscire le famiglie dall’isolamento spesso originato da una malattia rara, creando possibilità di condivisione di esperienze ed emozioni è uno degli obiettivi fondanti dell’Associazione italiana Sindrome di Pitt-Hopkins (PTHS) (www.aisph.it) – spiega una nota l’Università Cattolica – La scelta del Gemelli, per la prima uscita pubblica della neonata Associazione, nasce da una richiesta specifica delle famiglie che hanno una persona affetta da questa malattia, a riconoscimento del ruolo svolto dal Policlinico, in particolare dall’Istituto di Genetica Medica, a diffondere la conoscenza di questa condizione e a rendersi referente per diagnosi e trattamenti. Il Policlinico Gemelli è infatti considerato il Centro nazionale di riferimento per questa patologia e per primo ne ha introdotto la conoscenza presso gli stessi genetisti”.
    “L’ essere riconosciuti come centro di riferimento – dichiara la professoressa Zollino – non si basa sulla semplice esecuzione del test genetico, ma sulla competenza clinica generale che si è raggiunta e sulla possibilità di articolare un approccio multidisciplinare con gli altri specialisti che hanno un ruolo fondamentale nella terapia sintomatica e nella riabilitazione”. “Tale approccio multidisciplinare ha già coinvolto la UOC di Neuropsichiatria Infantile, diretta dal professor Eugenio Mercuri, con il contributo della professoressa Domenica Battaglia – prosegue la nota – Questa patologia, rara a maggior ragione perché sotto diagnosticata, determina conseguenze cliniche importanti: ritardo cognitivo grave con significativa compromissione del linguaggio, ritardo delle tappe motorie, deficit neurologici aggiuntivi, quali crisi di iperventilazione o crisi di apnea, difficoltà a coordinare i movimenti (atassia), difetti oculari che includono strabismo, miopia e astigmatismo, convulsioni e stipsi”.
    “Di fronte a un figlio con disabilità intellettiva grave, il raggiungimento della diagnosi di causa alleggerisce il peso che grava sulla famiglia di un problema ereditario imponderabile – prosegue la genetista Zollino-: tutte le mutazioni del gene TCF4 diagnosticate finora sono insorte de novo (non trasmesse da un genitore portatore sano), e la coppia dei genitori, spesso giovani, ha basso rischio di avere un secondo figlio affetto, con poche eccezioni. E’ consigliabile una diagnosi genetica prenatale ad ogni successiva gravidanza, per escludere la stessa mutazione identificata nel figlio affetto”.
    Geneticamente, la Sindrome di Pitt-Hopkins è causata dalla mancata funzione del gene TCF4 localizzato sul cromosoma 18, che risulta essere completamente deleto su uno dei due cromosomi 18 in una piccola parte dei pazienti, mentre nella maggior parte dei casi il gene è interessato da una mutazione puntiforme (alterazione solo di una base o di poche basi del suo codice), che lascia il gene comunque conservato, anche se mutato. Se nel primo caso (perdita completa del gene) è possibile raggiungere la diagnosi anche senza aver posto prima il sospetto clinico, per giungere alla diagnosi genetica della mutazione puntiforme, invece, va prima posto il sospetto clinico, e sequenziato specificamente il gene, selezionato tra circa i 20.000 geni che compongono il genoma umano: per questo la PTHS, più che molto rara, per ora è sottodiagnosticata.