Millenials sognatori e attenti alla loro salute: gli ultimi dati dell’indagine firmata Jointly

    I giovani di oggi sono decisamente più sognatori e, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, poco legati ai soldi. Quando si parla di “welfare” infatti, ossia l’insieme delle politiche destinate al benessere dei cittadini, i millenials  pensano subito al loro tempo libero, alle possibilità di crescita personale e professionale, ma soprattutto alla loro salute fisica e mentale. Bando ai profitti economici dunque, i giovani tra i 18 e i 35 anni, cresciuti nell’epoca dell’incertezza economica, della crisi climatica e dell’avvento del digitale, vogliono solo più benessere ed equilibrio tra lavoro e tempo libero. Ma quel che più stupisce è che sono estremamente attenti al mondo che li circonda e sempre pronti a trovare nuove opportunità per migliorarlo.
    I dati emergono dalla recente indagine sulle preferenze in fatto di welfare aziendale dei nati nel nuovo Secolo o a cavallo tra gli ultimi due, da parte Jointly, (società che offre welfare innovativi e sostenibili, progettati sui bisogni delle persone e sulle reali possibilità delle aziende e realizzati). Tremila e 200 persone intervistate in oltre 10 aziende, tra le quali Acli Milano, Banca Etica, Coopservice, Discovery, Etica sgr, Ferrovie dello Stato, Invitalia, Unipol, Ynap. E già dal titolo della ricerca “Il welfare condiviso” si comprende quale sia l’orientamento dei giovani che entrano oggi in azienda o che sono lì da qualche anno. Cresce, queste le conclusioni, la necessità di star bene “dentro e fuori” il luogo di lavoro. Meno individualisti dei loro colleghi più grandi, i millennial in realtà attribuiscono più importanza alle iniziative con forte dimensione sociale e capaci di creare valori, a scapito di quelle che portano a un mero vantaggio economico individuale. Meno egoisti e individualisti, verrebbe da dire, dei loro padri e nonni.?Welfare per loro non è sinonimo di voucher e convenzioni, ma viene associato al “work-life balance”, cioé più tempo di qualità da dedicare a sé, alla propria crescita e formazione personale, al proprio benessere psico-fisico e relazionale. L’idea di welfare che hanno i giovani diventa dunque una leva fondamentale di employee engagement: quanto maggiore è l’utilizzo e la soddisfazione per le iniziative di welfare di cui si è fruito, tanto più aumenta il senso di identificazione con la propria azienda. Un buon welfare è come una buona divisa aziendale insomma. “La mutata percezione da parte dei giovani del welfare aziendale è un dato di fatto di cui le aziende devono tener conto. La società moderna – spiega Francesca Rizzi, amministratore delegato di Jointly – è caratterizzata da una fluidità tra vita privata e lavoro mai vista prima. A mio avviso aziende e operatori del settore, dovrebbero prevedere sempre più iniziative volte al benessere e alla crescita della persona, non solo nella dimensione lavorativa, ma sempre più in quella personale e di conciliazione vita-lavoro” . Più che voucher per la palestra, dunque, meglio offrire flessibilità oraria, anche perché le nuove generazioni di lavoratori fanno ampio utilizzo dei servizi di welfare. Più della metà degli intervistati ne utilizza almeno due tra quelli a disposizione (il 32% uno e il 24% due), mentre il 18% ne utilizza tre e il 16% più di quattro. Ma le tante convenzioni (dall’estetista alla piscina) rientrano meno tra le loro preferenze. Salgono al contrario le attività di volontariato, le occasioni di socializzazione e di formazione come l’opportunità di adottare orari di lavoro flessibili. Un cambiamento culturale che secondo Jointly è già in atto ed è destinato ad accentuarsi anche perché a differenza di quanto percepito dai loro genitori, per i millennial il lavoro non è più o solo una mera fonte di guadagno e componente totalizzante e centrale della vita, quanto piuttosto uno strumento utile al miglioramento del work-life balance.?”Emerge un’associazione positiva tra l’identificazione che i dipendenti under 35 hanno con l’azienda per cui lavorano e l’utilizzo e la soddisfazione per il piano welfare offerto dall’azienda. Il dato – spiega Claudia Manzi, docente di psicologia sociale all’Università Cattolica di Milano, che ha curato la ricerca – è particolarmente rilevante perché le ricerche in ambito internazionale hanno evidenziato un minore coinvolgimento personale e identitario per le realtà organizzative dove sono collocati. Il welfare aziendale quindi, se ben pianificato, può essere una risorsa particolarmente efficace per creare un legame fecondo tra azienda e dipendenti”. Una strada anche per non perdere quei talenti che rischiano di fuggire altrove.