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Muccino, un amarcod corale e generazionale

Porsi davanti ad un film italiano in uscita animati da preconcetti è a dir poco inutile. E’ ovvio che nel corso dei decenni, bene o male, sia già stato raccontato tutto. Oltretutto, grazie al neorealismo dei vari Rossellini, De Sica, Pasolini, Bertolucci, ecc prima, e la ‘commedia amara’ degli Scola, Risi, Monicelli, Magni, Sonego, ecc dopo, il cinema italiano ha avuto la fortuna di segnare la via alla cinematografia mondiale. Quindi, per quanto possibile, star a cercare similitudini o peggio, denunciare addirittura dei plagi, è irrispettoso nei confronti degli attuali registi, che a modo loro cercano in qualche modo di tenere alta la nostra cinematografia continuando ad attingere dalla contemporaneità.
Ed infatti con grande onestà e lucidità, affrontando i giornalisti, è lo stesso Gabriele Muccino a mettere le mani avanti spiegando subito che “È vero, si può dire che questo mio lavoro sia liberamente ispirato a ‘C’eravamo tanto amati’, un film di cui ho comprato anche i diritti per evitare il plagio, ma va detto che ‘I migliori anni‘ è pieno di citazioni. In fondo non siamo tutti noi figli dei film che abbiamo visto? Racconto i miei anni come Scola raccontava i suoi in ‘C’eravamo tanto amati’ e Sonego in ‘Una vita difficile'”.

Muccino, ‘I migliori anni’ come li ricordo

Questo perché, a pochi giorni dal fine riprese, il suo ‘I migliori anni’, partendo dagli ‘anni difficili’ (sempre seguendo la narrazione corale, che è poi la ‘specialità della casa), porterà nei cinema l’epopea di una forte amicizia, dal 1980 ai giorni nostri, fra tre ragazzi e una loro coetanea. “Il film racconta la vita in tante sfumature e anche la sua ciclicità attraverso la storia di tre amici e di una ragazza che diventerà un po’ il centro della coesione del gruppo”, spiega infatti Muccino, che aggiunge: “Pierfrancesco Favino (Giulio), è figlio di un gommista e poi diventa un avvocato; Paolo (Kim Rossi Stuart), il più etereo dei personaggi è invece figlio di una barista e orfano di padre; mentre Riccardo (Claudio Santamaria), viene dalla borghesia con un padre che fa l’illustratore. Gemma (Michela Ramazzotti), è invece orfana di madre ed è così costretta a trasferirsi a Napoli da una zia. È lei il personaggio più complesso e il collante di tutto. È una donna che non ha mai conosciuto il padre e così cerca negli uomini questa figura maschile e a volte crede anche di amare più persone per colmare questa sua debolezza”.
Come dicevamo, la storia inizia alla fine dei Settanta, in una Roma attraversata dai cortei, scontri violenti, e le tensioni politiche che allora erano all’ordine del giorno, tuttavia il regista tiene a precisare che il suo non vuol affatto essere per questo un film politico: “Tutto parte dal centro di Roma, dove ai miei tempi potevi incontrare il figlio di un meccanico e quello di un professionista. E’ vero poi che siamo comunque tutti governati dalla politica anche quando non pensiamo di esserlo. I miei protagonisti però non sventolano nessuna bandiera, né sono portatori di un pensiero politico, sono solo egocentrici e si limitano a stare alla finestra”. Del resto, spiega ancora: “La mia generazione è comunque figlia minore di quella che aveva la verità politica in tasca ed è cresciuta con questa inferiorità”.
Muccino per l’occasione ha anche il merito (o demerito, poi si capirà), di aver fatto debuttare la cantante Emma Marrone (“L’ho conosciuta tramite Instagram e poi l’ho incontrata in un ristorante e mi ha affascinato”), ed i suoi due figli: “Ilan, il mio primogenito sedicenne, interpreta il figlio della Ramazzotti mentre Penelope, dieci anni, farà la figlia di Favino. Insomma – dice con un sorriso – la storia de I migliori anni continua anche con i miei figli”.
Nei cinema dal 13 febbraio grazie alla distribuzione di ’01’, sicuramente ‘I migliori anni’ saprà farsi valere…
Max