Nel war game sulle riforme, in gioco la credibilità di Renzi in Italia e in Europa di Giovanni Miele

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    Sembra quasi un percorso da war game quello che dovrà affrontare Matteo Renzi la prossima settimana. Un percorso pieno di ostacoli e di insidie visibili e nascoste. Si comincia Martedì con il primo faccia a faccia del Premier con i sindacati. Un incontro subìto più che voluto da Renzi, per accontentare Giorgio Napolitano. Sarà comunque l’occasione per dimostrare all’Europa, agli investitori e ai mercati, che la linea sull’art. 18 e la riforma del lavoro non cambia. Se sarà così, Renzi potrà sicuramente guadagnare punti come leader politico del nuovo corso.

    La reazione dei sindacati, però, non potrà non avere effetti sul cammino, al senato, del Jobs Act e potrebbe  offrire ai dissidenti del PD il pretesto per dare fuoco alle munizioni, sia nella battaglia parlamentare, che in quella all’interno del partito. Anche il ricorso al voto di fiducia,  per mettere a tacere il dissenso, sarebbe sì una prova di determinazione, ma metterebbe a nudo la debolezza del Presidente del Consiglio e Segretario del PD all’interno dei suoi gruppi parlamentari, costretti a votare a favore solo per disciplina di partito e per evitare una crisi di governo, che potrebbe anche portare ad elezioni anticipate. Certamente Renzi potrebbe portare al vertice europeo sul lavoro del giorno 8 settembre il trofeo del primo si del senato al suo Jobs Act, ma si tratterebbe di una vittoria accompagnata da tanti punti interrogativi sulla tenuta del Governo e sulla possibilità di mantenere gli impegni, specialmente sulle riforme istituzionali. Comunque nel war game si registrerebbe un risultato di sostanziale parità.  Ma la parte più difficile del percorso si svolgerà sul terreno ancora più impervio della politica europea. Se Renzi, dopo la sortita del socialista Holland, non prenderà posizione con chiarezza a favore o contro la politica del rigore della cancelliera Angela Merkel, l’Italia rischia di fare il vaso di coccio fra i vasi di ferro. Certo la partita è molto complessa, ma non ci si può tirare fuori e occorre decidere se proseguire sulla strada di un lento declino che porta solo disoccupazione e impoverimento, o se invece non sia più conveniente fare subito una battaglia, insieme a Francia e Inghilterra, per cambiare la politica economica dell’Unione. Senza escludere, ad esempio l’ipotesi di un’Europa economica a due velocità, che tenga conto delle esigenze e delle caratteristiche dei paesi del mediterraneo da una parte e di quelli continentali dall’altra.