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Nella Capitale 100 voragini l’anno: a Roma Est le zone più a rischio

Nella Capitale si aprono cento voragini l’anno. Le zone più a rischio sono quelle di Roma Est, Municipi V, VI e IV, quartieri appio, tuscolano, tiburtino, prenestino.

923 voragini dal 2009 al 2019 a Roma, a Napoli 196, a Cagliari 112. Interessate dal fenomeno diverse città della Sicilia e Cagliari. I sinkholes antropogenici, questo è il termine tecnico per le voragini, iniziano tuttavia a manifestarsi anche nelle città del nord dove fino a qualche anno fa non si registravano eventi”. Lo ha detto Stefania Nisio, geologa Ispra durante la terza giornata del ciclo “Giornate di studio di Geologia e Storia”, dedicata ai numerosi vuoti sotterranei ancora presenti al di sotto delle città italiane ed in particolare delle aree metropolitane, come Roma, Napoli, Cagliari e Palermo. Il ciclo di seminari è promosso da Ispra – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Sigea – Società Italiana di Geologia Ambientale e dalla Società Geografica Italiana.

Le cavità sotterranee di Roma

“Sono molti gli studi di tipo archeologico e geologico-geotecnico – spiega l’Ispra – riguardanti le cavità sotterranee nel territorio di Roma. Tali cavità costituiscono un’intricata rete di gallerie sotto la città, costituendo sistemi, a volte a più piani, che si approfondiscono a differenti profondità. Questi vuoti sono tutti di origine antropica, scavati a vario titolo, per vari scopi (edilizio, idraulico, religioso etc.), ma per lo più per l’approvvigionamento di materiali da costruzione.

Le cave romane furono realizzare prevalentemente nei terreni vulcanici. Esse sono le cavità maggiormente diffuse e si concentrano soprattutto nella porzione orientale della città. La coltivazione mineraria avveniva attraverso la realizzazione di gallerie che prevedeva un imbocco alla base del versante. L’utilizzo delle cave di tufo come aree di culto e cimiteriali è successivo e risale al I–III sec. d.C.. Le aree censite e adibite a catacombe ed ipogei privati rappresentano la seconda tipologia di cavità sotterranea per estensione. Le cave di conglomerati e sabbia, realizzate nella porzione sud-occidentale della città, hanno più scarsa estensione e non furono mai utilizzate come necropoli ma, successivamente, come depositi, fungaie, etc.

Purtroppo, tale network di gallerie sotterranee è conosciuto solamente in forma frammentaria e molte abitazioni civili sono state realizzate su tali vuoti, sconosciuti e non bonificati. La presenza delle cavità sotterranee in particolari condizioni, congiuntamente alle possibili perdite della rete idraulica dei sottoservizi può provocare, il crollo degli strati più superficiali del terreno con la formazione di voragini in superficie (sinkhole antropogenici) determinando rischio per il prezioso tessuto urbano romano”.

Manca database: al via gruppo lavoro per raccolta dati

“Sono mancati, dunque, sino ad oggi, – prosegue Ispra – una cartografia d’insieme e un database completo, che riportino l’effettiva estensione delle cavità. Tuttavia, tali informazioni, risultano ora fondamentali al fine di studiare la pericolosità del territorio. Al fine di migliorare e completare lo studio e censimento dei vuoti sotterranei è stato costituito, in seno all’ISPRA, un gruppo di lavoro (a cui partecipano vari enti, tra i quali: Roma Capitale, CNR, Protezione Civile Nazionale, Roma Metropolitane e le principali Associazioni Speleologiche di Roma; La Pontificia Commissione di Archeologia Sacra) che si sta occupando della raccolta dati. Ai dati di tipo puntuale sono state affiancate, in questo modo, le mappature delle cavità in forma areale”.