NUOVO SENATO, FINO A MARTEDI SI TRATTA’, MA NESSUNA FIDUCIA


“I tempi stringono”, avverte il ministro Maria Elena Boschi. Se si vuole approvare la riforma costituzionale ed esaminare anche la legge sulle unioni civili prima della legge di stabilità, bisogna accelerare. E far approdare la riforma del Senato in Aula, ipotizzano i renziani, già il 24 settembre. Ma la strada è ancora tutta in salita perché le distanze nel Pd restano immutate. E se la rassicurazione del governo che non sarà messa la fiducia (“Non esiste al mondo”, dice il sottosegretario Luciano Pizzetti) tiene il confronto su toni più sereni, Pier Luigi Bersani si mostra pessimista: “Voto la riforma solo se si supera lo stallo sull’articolo 2, ma la vedo dura”. Matteo Renzi, che sabato terrà a Verona la seconda tappa del suo tour in cento teatri d’Italia, ha provato a spostare il confronto sul terreno della “responsabilità”. Anche per questo ha passato per ora la palla a un tavolo “istituzionale permanente” dei gruppi Pd, che si è insediato in mattinata negli uffici del gruppo a Palazzo Madama. Ne fanno parte Boschi e Pizzetti, la presidente Finocchiaro, i capigruppo Rosato e Zanda, i capigruppo in commissione Lo Moro e Fiano, i responsabili istituzionali Pollastrini e Tonini. I nove hanno fatto un primo giro di tavolo. Da domani si proverà a entrare nel vivo, mettendosi innanzitutto al lavoro per trovare un’intesa sul tema delle competenze che del futuro Senato. Entro martedì, quando la commissione potrebbe iniziare a votare. Sulle competenze, che i senatori – anche su richiesta dei presidenti di Regione – vorrebbero aumentare, un accordo è possibile. Non solo nel Pd ma anche, spiegano dalla maggioranza Dem, con gli altri partiti. Su quel piano si sta tra l’altro lavorando – con qualche spiraglio, assicurano i renziani – per persuadere Roberto Calderoli a ritirare gran parte dei suoi 500 mila emendamenti. Sul metodo di elezione dei futuri senatori, invece, le posizioni restano inconciliabili: i 28 della minoranza Pd chiedono di cambiare l’articolo 2 della riforma, governo e maggioranza dicono che la richiesta è irricevibile perché vorrebbe dire ripartire d’accapo. Per questo Lo Moro, che insieme a Pollastrini rappresenta la minoranza al tavolo istituzionale, sottolinea che un’intesa dirimente può venire solo da “fuori”, da un accordo politico e non tecnico. Anche se Pier Luigi Bersani, che continua ad allontanare da sé l’ombra della scissione, esclude che risolutivo possa essere un vertice a due tra lui e Renzi: “Non ci credo agli incontri di Teano, Renzi parli con i senatori. I senatori pongono una domanda onesta sugli equilibri democratici, non di corrente o per salvare poltrone”. Ma Lorenzo Guerini avverte che non si possono “riportare le lancette al punto zero” e che la riforma “non è il terreno per regolare dinamiche interne al partito e preparare congressi”.La prossima settimana la presidente di commissione e relatrice Anna Finocchiaro potrebbe dichiarare irricevibili tutti gli emendamenti all’articolo 2, creando un precedente per la scelta dirimente che il presidente Pietro Grasso dovrà compiere quando la legge sarà in Aula. Intanto, con il clima più sereno di confronto, con alcune concessioni su temi come le funzioni del Senato e il suo ruolo di garanzia, la maggioranza Pd confida di riuscire a toccare le corde dei più “responsabili” tra i senatori della minoranza Dem. Altri consensi alla riforma costituzionale (o almeno l’uscita dall’Aula nei momenti più delicati) potrebbero arrivare – sostengono – dalle fila di Forza Italia. E se i bersaniani ostentano compattezza e confidano di trovare alleati nella loro battaglia in alcuni senatori di Ncd, i renziani salutano positivamente il richiamo ai suoi di Alfano (“Chi vuole andarsene da Berlusconi, Renzi, Salvini, vada…”). Gli alfaniani, però, attraverso il capogruppo Renato Schifani chiedono di essere al tavolo tecnico con il Pd. In commissione, intanto, sfilano i presidenti di Regione Sergio Chiamparino, Enrico Rossi e Vincenzo De Luca. Tutti chiedono un ampliamento delle competenze e che i governatori siedano di diritto nel futuro Senato. E De Luca si spinge oltre: “No all’elezione libera”, diretta o indiretta, dei senatori: “Servono criteri oggettivi o al Meridione c’è rischio fortissimo di trasformismo e mercato politico”, con l’ingresso di “qualche pezzo di camorra democratica”.