Omicidio Yara Gambirasio: tutte le prove contro Bossetti

    A ben 8 otto anni dalla terribile vicenda che ha visto la morte di Yara Gambirasio, si continua a scavare per ricostruire l’esatta dinamica dei fatti, tra smentite e diffusione di nuovi dettagli. La giovane 13enne era scomparsa il 26 novembre 2010 da Brembate di Sopra, comune in provincia di Bergamo; si era recata in palestra per consegnare uno stereo, per poi far perdere le sue tracce sulla strada verso casa. Tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, il corpo viene trovato in un campo incolto a Chignolo d’Isola. L’autopsia svela i colpi alla testa, le coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. Nessuna delle ferite aveva però provato la morte, sopraggiunta successivamente a causa del freddo.
    Le ingadini autoptiche rivelano qualche tempo dopo che sui leggings e sugli slip della vittima c’è una traccia, attribuita a ’Ignoto 1’. Per arrivare a dare un nome al presunto assassino ci vorranno però quattro anni di indagini. Un’inchiesta unica al mondo: oltre 118mila utenze telefoniche controllate, più di 25mila profili genetici nelle mani di polizia scientifica e Ris. Il 16 giugno 2014 arriva la svolta: Massimo Bossetti, muratore di 44 anni e padre di tre figli, viene fermato con l’accusa di omicidio con l’aggravante delle sevizie e della crudeltà, oltre che dall’aver approfittato della minore difesa, data l’età della vittima.
    Contro di lui, a dire dell’accusa, diversi elementi: il Dna, le celle telefoniche, il furgone ripreso dalle telecamere, le fibre tessili e le sfere metalliche, trovate su Yara. Prove che portano i giudici di primo grado e quelli di appello a emettere la sentenza di ergastolo e che ora sono al centro dell’udienza in Cassazione, l’ultima possibilità che ha Bossetti di dimostrare la sua innocenza. I giudici della Suprema Corte potranno confermare la condanna oppure annullarla e concedere un nuovo processo. Ben 23 le eccezioni sollevate dalla difesa, a partire dal profilo genetico su cui si regge l’accusa.
    La traccia biologica (rinominata 31G20), trovata su slip e leggings della vittima attribuita a ’Ignoto 1’ è il faro dell’indagine. Una prova significativa perché individuata su un indumento intimo. Una traccia mista, forse sangue, il cui match arriva dopo un’indagine faticosa: si risale al padre del presunto colpevole (Giuseppe Guerinoni, viene riesumata la salma), poi alla madre (Ester Arzuffi) che nega la relazione clandestina. Una consulenza della procura evidenzia un’anomalia nel reperto: il Dna nucleare combacia con il sospettato, non il mitocondriale (indica la linea materna).
    Per il procuratore generale Marco Martani, l’analisi della traccia genetica porta a “risultati rassicuranti” con una “probabilità statistica che diventa assoluta certezza”. L’assenza del Dna mitocondriale “non inficia in alcun modo la valenza del nucleare, l’unico che identifica in maniera certa una persona”. Il profilo genetico è la prova che Bossetti, attratto dalle 13enni, è l’autore dell’omicidio. Per i difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini quel Dna non è dell’imputato e “ha talmente tante criticità (261) che sono più i suoi difetti che i suoi marcatori”. L’assenza di mitocondriale va ’risolta’ concedendo una perizia, non chiedendo “un atto di fede”.
    Bossetti, che non conosceva Yara, non sa spiegare perché il suo Dna si trovi sugli indumenti della vittima e alcune intercettazioni in carcere sulla descrizione del campo di Chignolo lo tradirebbero. L’uomo “attratto dalle ragazzine” potrebbe aver tentato un “approccio sessuale”, poi, sfociato nel delitto. Nulla, invece, per la difesa è certo: né l’orario, né il luogo della morte. L’imputato non ha nessuna perversione: le ricerche fatte con un computer presente in casa sono successive alla morte della 13enne e “sono lecite”.