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    Partiti di lotta e governo regola non eccezione

    “I partiti di lotta e di governo non sono l’ossimoro della politica contemporanea. Ne sono il canone, oramai. Non l’eccezione, ma la regola. 

    In una settimana presa a caso -l’ultima, per esempio- si annotano alcuni episodi tipici. Primo: un grappolo di deputati leghisti scendono in piazza contro il green pass che i loro ministri hanno condiviso al tavolo del governo e che loro stessi dovranno presumibilmente votare in aula. Secondo: i militanti di Leu applaudono divertiti alla loro festa le contumelie che Travaglio ha appena rivolto al loro stesso premier. Terzo: i ministri del M5S minacciano di astenersi sul nuovo testo della riforma della giustizia dopo aver votato un mese fa a favore di un primo testo che era ben più lontano dalle loro posizioni di bandiera. 

    Ce n’è quanto basta per considerare che il vezzo di farsi piazza e palazzo a seconda del momento (e dell’umore) sia ormai diventato un’abitudine. Dietro la quale i partiti nascondono la loro debolezza illudendosi di rinvenire chissà come e chissà dove la forza che avevano una volta. 

    Si dirà che l’abitudine non è del tutto nuova, e che anche i gloriosi partiti del passato si davano il loro daffare per tenere insieme il diavolo e l’acquasanta. E’ vero. Ma è anche vero che nel frattempo sono cambiati il modo e la misura. E che ora il pendolarismo tra le decisioni del giorno prima e i cortei del giorno dopo s’è fatto frenetico, convulso, perfino straniante. Come a dire che nessuno si assume più la responsabilità di tenere il punto se qualche piccola frangia del proprio elettorato non è del tutto convinta che si tratti del punto giusto. 

    Il fatto è che i partiti sono diventati via via più insicuri del loro insediamento politico ed elettorale. Tanto più insicuri ora che il vento del populismo ha sollevato la polvere della diffidenza degli elettori verso ogni forma di tradizionale organizzazione (e pedagogia) della vita pubblica. Così, è tutto un rincorrersi l’un l’altro badando sempre di girare alla larga da qualunque posizione o decisione che possa diventare bersaglio anche solo di un frammento del malumore del loro stesso elettorato. 

    Potrà suonare stucchevole l’elogio dei partiti di un tempo, che si premuravano di educare la loro base e cercavano di condurla verso lidi più istituzionali. Quelle virtù si sono perdute nella polvere del tempo che è passato, e sarebbe ingenuo pensare di farle rivivere al modo in cui erano. Resta il fatto però che questo continuo inseguimento che i partiti di oggi -a differenza di quelli di ieri l’altro- vanno facendo dei loro elettori smarriti non porta loro più consenso. Affatto. Semmai moltiplica a dismisura l’illusione da parte di ognuna delle minuscole isolette del loro arcipelago elettorale di farsi per un giorno, solo per un giorno, capitali del loro precario staterello. 

    Questo continuo attraversamento delle linee che separano (o almeno dovrebbero) il palazzo e le piazze per il momento si sta svolgendo in condizioni di relativa sicurezza. Infatti molte decisioni, dettate dall’agenda Covid, sono pressoché obbligate. Le si può contestare finché si vuole, ma sapendo che saranno adottate da qualcun altro e dunque non se ne dovrà pagare il dazio. Inoltre, almeno per il momento, l’autorità di Draghi si stende sulla quotidianità politica come una forma, pur blanda, di commissariamento, e dunque consente quasi sempre di scaricare l’onere o il rischio dell’impopolarità sulle spalle di qualcun altro. 

    In una parola, i partiti di lotta e di governo per ora stanno solo praticando un gioco con un certo spirito adolescenziale, attenti a non farsi mai troppo male. Se poi invece un giorno dovessero trovarsi a governare davvero, in primissima persona, portandone addosso tutto il peso, sarebbe un altro paio di maniche. Tra tanti governi possibili, infatti, il gabinetto Peter Pan non s’è ancora mai visto all’opera”. (di Marco Follini)