Polonia, il voto restituisce un paese spaccato in due

    Una Polonia spaccata in due. Ecco il bilancio finale delle elezioni locali polacche, tenute in due turni, il 21 ottobre e l’ultima domenica. Con un’affluenza del 55 percento, superiore alla media, il più grande membro dell’Europa orientale e della NATO (e la sesta economia dell’UE grazie al suo impetuoso sviluppo economico) mostrano una democrazia più vivace e polarizzata che mai.

    I grandi centri sono stati infatti conquistati dal fronte dell’opposizione liberale ed europea, ovvero Platforma Obywatelstwa (il partito di Donald Tusk, ora presidente dell’esecutivo europeo) e Nowoczesna (quelli moderni). Mentre il partito sovrano di maggioranza assoluta a livello nazionale di governo, vale a dire il PiS (Prawo i Sprawiedlywosc, Law and Justice, guidato dal carismatico leader storico Jaroslaw Kaczynski) prevale nelle assemblee regionali grazie alla sua indiscussa forza nelle campagne, in particolare il quelli orientali meno sviluppati, e poi nelle aree in cui la sequela della Chiesa cattolica polacca è più forte. La maggior parte ha negato gli insegnamenti conservatori ma moderni di Giovanni Paolo II, e non di rado i suoi media e la stazione radio Maryja censura o passano sopra encicliche o dichiarazioni prese da Papa Francesco.

    Nel primo turno, il Pis non è riuscito a conquistare la capitale Varsavia, dove il candidato all’opposizione Rafal Trzaskowski ha poi vinto con il 57 per cento dei voti contro i voti ottenuti dal candidato della maggioranza del governo, Patryk Jaki, fermo al 30 per cento. L’opposizione andò anche in altre due grandi città, la dinamica Wroclaw (un centro del boom economico dove lavorano anche i giovani espatriati italiani), e Lodz, la vecchia città tessile che un tempo chiamava “la Manchester polacca”.

    Non è migliorato nel secondo turno: il governo ha perso in due città – simbolo della rivoluzione pacifica del 1989 che ha dato inizio alla caduta del muro di Berlino e dell’impero sovietico: Gdansk, la patria del leader rivoluzionario e vincitore del premio Nobel per la pace Lech Walesa e culla di Solidarnosc, e Cracovia, città in cui Karol Wojtyla era un arcivescovo dinamico, sempre al fianco del dissenso anticomunista.

    È quindi un bilancio negativo nelle città per il governo, in quella che è stata la prima consultazione elettorale nazionale dopo i parlamentari dell’autunno 2015, travolta dal PiS. Il voto delle città appare secondo molti media polacchi anche il segno di un no ad ogni ipotesi di “Polexit”, uscita dall’UE. Polexit che, come ha detto ieri Donald Tusk a Varsavia a Varsavia, è un pericolo molto serio che pesa sul paese più di quanto si pensi. Sia per lo stile autoritario del governo che per le riforme istituzionali del PiS e per il suo linguaggio euroscettico in sintonia con quello degli altri paesi di Viségrad (oltre alla Polonia, sono Cèchia, Slovacchia e Ungheria), e in particolare per l’anti- Slogan europei del carismatico e popolare sovrano magisteriale Viktor Orbán, il leader più creativo e attivo del campo neoconservatore-nazionalista in tutta l’UE.