Quando l’alimentazione del proprio figlio finisce in tribunale – di Martina Ferma

    Bergamo – È finita in tribunale la lite tra due genitori divorziati in disaccordo sull’alimentazione del figlio dodicenne. Da quasi dieci anni, la madre si è convertita ad uno stile di vita macrobiotico e ha cercato di far adottare lo stesso genere di alimentazione a suo figlio: si tratta di una dieta che non tollera l’assunzione di cibi sofisticati, come la carne, e che predilige solo alimenti di produzione naturale. Ciò significa che zuccheri e dolci sono aboliti, mentre sono accettati frutta e ortaggi, eccezion fatta per pomodori, patate e melanzane. In alternativa alla carne, si preferisce il pesce fresco, mentre si possono assumere latte e derivati in piccole dosi.
    Quando l’ex marito ha saputo che lei stava privando il figlio dell’alimentazione corretta, l’ha accusata di mettere a rischio la sua salute e, per compensare, quando il figlio andava da lui nel weekend lo portava spesso al fast food per fargli mangiare carne e dolci, oppure dalla nonna, che nei pasti gli propinava polenta, gorgonzola e salsiccia.
    Ma, siccome il ragazzo ogni volta che tornava a casa dopo essere stato dal padre, aveva il mal di pancia, la lite è scoppiata nuovamente. È stato allora che l’ex marito ha deciso di rivolgersi al tribunale affinché si prendessero “gli opportuni provvedimenti con riguardo al regime alimentare del minore”, visto che i genitori non sono stati in grado di farlo per lui. E il giudice ha stabilito che il padre, nel weekend, può proporre al figlio la carne massimo due volte, mentre la madre almeno una volta a settimana, dato che è un alimento importante per il fabbisogno nutritivo del ragazzo, vista la sua età.