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Quel che resta del Biafra

Nell’immaginario collettivo, soprattutto per la generazione che ci ha preceduto, il Biafra riporta alle mente bambini emaciati, malnutriti e in fin di vita. Ma se oggi un curioso volesse cercare il Biafra su google maps, convinto che sia uno Stato, ne rimarrebbe deluso: non troverebbe niente. Il Biafra, territorio tra Camerun e sud-est della Nigeria, ha avuto una vita brevissima (1967-1970) come stato secessionista. Si chiamò Biafra perché affacciava sull’omonimo golfo. Quel che è stata una repubblica (riconosciuta ufficialmente da sei Paesi) per soli tre anni, popolata in gran parte dall’etnia chiamata Igbo, ha determinato la causa della prima e sanguinosa guerra civile nigeriana.

Lo stesso curioso, però, se lunedì 26 luglio fosse passato davanti all’ambasciata britannica di Roma, a due passi da Porta Pia, sarebbe rimasto sorpreso e confuso. Centinaia di manifestanti sventolavano la bandiera rossa, nera e verde con al centro un sole nascente dell’ex Stato secessionista per chiedere indipendenza dal governo nigeriano e la liberazione del leader dell’Indigenous People of Biafra (Ipob), Mazi Nmandi Kanu.

Perché a distanza di 51 anni si torna a parlare di Biafra? La questione è da manuale di diritto internazionale. Kanu, 54 anni, fondatore del movimento separatista pro-Biafra con doppia cittadinanza nigeriana e inglese, da sempre combatte perché il Biafra torni uno Stato indipendente. Figura popolare e controversa, viene arrestato nel 2015 dalla polizia segreta nigeriana (Dss) con le accuse di cospirazione e costituzione di un’associazione illegale e liberato su cauzione nel 2017. In questi due anni, secondo Amnesty international, le forze di sicurezza della Nigeria hanno causato lo morte di almeno 150 attivisti pacifici pro-Biafra.

Dopo quasi quattro di latitanza, il 27 giugno Kanu è stato nuovamente arrestato, forse a Nairobi, dai servizi segreti kenyoti ed estradato pochi giorni dopo in Nigeria, dove è attualmente detenuto. Il processo nei suoi confronti sarebbe dovuto iniziare lunedì 26 luglio presso l’Alta Corte federale di Abuja, capitale del Paese, ma è stato aggiornato al 21 ottobre dopo che a molti giornalisti presenti – riporta il The Guardian – è stato impedito di entrare nell’aula.

I manifestanti hanno protestato a Roma per contestare sia le modalità dell’estradizione (si ricorda che Kanu ha anche la cittadinanza britannica) sia per tornare a chiedere l’indipendenza del Biafra, territorio ricco di petrolio. I fatti di cronaca potrebbero evolvere in due modi, rivitalizzando il secessionismo dell’etnia Igbo con l’istituzione di un referendum per una nuova indipendenza dalla Nigeria o inasprendo i controlli del governo centrale di Abuja. Un’ipotesi, quest’ultima, che rischia di far scivolare il Paese in un ulteriore giro di vite nei confronti di questa comunità.

Mario