Saman Abbas, il pm: “Si cerca il corpo, pensiamo sia morta”

Saman Abbas, la 18enne pachistana scomparsa, voleva sottrarsi a un matrimonio combinato. La lite con i genitori per riavere i documenti, il video dei parenti in cascina con in mano pala e sacco, la testimonianza del fratello, le ricerche continuano per fare chiarezza su questo giallo di Novellara nella bassa reggiana. Purtroppo, però, si cerca il corpo della giovane. L’ipotesi che si sta facendo strada tra gli investigatori è che la ragazza pachistana di cui si sono perse le tracce dal 30 aprile scorso, sia morta.  

“Le ricerche continuano, anche perché, purtroppo, riteniamo che la ragazza sia deceduta” dice il procuratore reggente Isabella Chiesi. “A breve partiranno con l’aiuto di un elettromagnetometro e saranno eseguite sotto la sorveglianza di un ingegnere”. Speranze di trovare dei resti? “Penso che un mese sia un periodo che consente senz’altro di ritrovarli”, spiega a ‘Reggiosera.it’. Per ora, aggiunge, le ricerche tramite “la cooperazione internazionale e le rogatorie” non sono ancora state fatte. “Ci sono elementi per continuare a pensare che lo zio di Saman sia in Europa, perché c’è molta collaborazione da parte delle autorità europee. Svizzera, Francia, Spagna e Inghilterra sanno chi devono cercare”.  

Alla domanda se l’esecutore materiale dell’omicidio possa essere stato solo lo zio di Saman, Chiesi risponde che “è difficile saperlo, perché non conosciamo nemmeno la modalità con cui stata uccisa”. L’accusa, comunque, “è di omicidio premeditato”. 

Nei video, ripresi dalle telecamere si vedono i tre familiari, con gli attrezzi, che vanno nel retro dell’azienda agricola (Guarda). “Saman è stata accompagnata davanti, ma poi non sappiamo che percorso abbia fatto – precisa -. Questo non vuol dire che non sia passata altrove”. Quali saranno i prossimi passi? Attendere, sperando che siano in Francia, le ricerche degli altri e la cooperazione internazionale. Infine l’arrivo del cugino che possa arrivare a breve”. 

Nei frame, diffusi dai carabinieri e nel filmato (Guarda il video) del 29 aprile scorso, si vedono tre uomini in abiti scuri, uno con una pala, un altro con un sacco e il terzo con un altro attrezzo. Secondo l’ipotesi investigativa nelle immagini si vedrebbero lo zio e i due cugini di Saman, mentre stanno andando a scavare la fossa dove occultare poi il corpo della giovane. Dagli accertamenti, eseguiti tramite il servizio di Cooperazione internazionale istituto presso il Ministero dell’Interno in contatto con la polizia belga, non è risultato che Saman, sia in Belgio come dichiarato dal padre. Uno dei conoscenti della ragazza nel Paese ha riferito di non vederla lì da tantissimo tempo. 

“Il primo pensiero, come Imam e musulmano italiano, è la preghiera per la salute e la vita di questa ragazza che, speriamo, sia ancora viva, oltre alla volontà di sensibilizzare i suoi parenti a ritrovare la vera priorità, che è la vita della loro figlia e nipote” dice all’Adnkronos Così Yahya Pallavicini, Imam nella moschea di Al-Wahid di Milano e presidente della Coreis-comunità religiosa islamica italiana. “Perché l’incapacità di comprendere e conoscere l’Occidente e la modernità, oltre a una difesa conservatrice di usi e costumi male interpretati, sono elementi che messi insieme possono creare un cocktail esplosivo”.  

“Senza dubbio -spiega Pallavicini- il fatto dimostra che c’è una distanza tra modernità e tradizione; c’è una sfida culturale, psicologica e familiare tra Oriente e Occidente e tra tradizione e modernità”. E “questo è importante chiarirlo perché non bisogna confondere delle identità culturali con delle interpretazioni religiose”. Del resto, sottolinea, “il matrimonio combinato non è prescritto da nessuna parte e tutto ciò che è contrario è vietato e punito”. In ogni caso “non esiste che dei genitori possano maltrattare o uccidere i propri figli, maschi o femmine che siano. Non c’è religione o dottrina che possa mai prescrivere una cosa del genere”. Ciò che invece “tutte le religioni prescrivono sono la salute, il rispetto e la dignità di genitori e figli. E’ l’amore per la vita”. Quindi “cerchiamo di non confondere il tribalismo con l’identità culturale, né il formalismo apologetico o pseudoreligioso con la religione vera e propria. Qualunque religione sia”. Si tratta di “un discorso universale”. 

In “Europa meridionale, così come è accaduto nel Sud d’Italia con i delitti d’onore, si tratta comunque di fenomeni ormai superati; quanto a noi, come leader religiosi, dobbiamo affermare con forza che questa pratica non esiste e non ci sono soluzioni se non quella di spingere all’amore e al rispetto dei giovani nelle loro nuove sfide. L’Islam e il Pakistan non c’entrano, bisogna piuttosto riscoprire l’istinto naturale per il bene e per la vita. Che è sacra, per tutte le religioni. Anche per chi non crede”. Per fortuna, afferma Pallavicini, “i numeri sono relativi”, anche se “per quanto pochi, sono comunque spiacevoli”. Quanto alle cause, “sono soprattutto di ordine psicologico: l’incapacità di comprendere e conoscere l’Occidente e la modernità, oltre a una difesa conservatrice di usi e costumi male interpretati della propria radice nazionale o religiosa o culturale, sono elementi che messi insieme fanno un cocktail esplosivo”. Cioè “non conosco la mia identità, ho paura dell’identità del Paese in cui mi trovo e di non saper gestire i miei figli che qui crescono e, su questa base, scattano soluzioni assurde e pericolose”.  

E’ inoltre importante sottolineare, avverte Pallavicini, che la questione va risolta con le leggi dell’ordinamento italiano: “Non si tirino fuori sentenze di Sharia, Fatwe o tribunali islamici. Non abbiamo bisogno di risolvere un ghetto culturale con un ghetto giuridico. Basta il buonsenso della vera religione e l’ordinamento giuridico dello Stato occidentale. Altrimenti ci sarà sempre il rischio che si voglia trovare una soluzione ‘islamicamente’ o ‘pakistanamente’ o ‘cristianamente’. Ciò che dobbiamo fare -conclude- è trovare una soluzione con le misure che ci sono e soprattutto sperare che quella ragazza sia viva e stia bene”.