Sanità, Aism: ‘7 mln caregiver senza diritti ma con più lavoro durante pandemia’

In Italia ci sono circa 7 milioni di caregiver familiari (dati Istat), in particolare donne tra i 45 e 54 anni e anziani tra i 65 e 74, che accudiscono persone fragili e vulnerabili a causa dell’età avanzata, di una disabilità o di una malattia cronica. Durante la pandemia il loro compito è aumentato “eppure il loro ruolo non è ancora riconosciuto a livello giuridico. La figura del caregiver non è nuova. Esiste in vari provvedimenti che via via sono stati emanati nel corso degli anni da parte dello Stato, nei documenti di pianificazione sanitaria, o a livello delle singole regioni. Tuttavia, ancora oggi manca un quadro certo di riconoscimento, di diritti soggettivi e di tutele per queste figure che vivono in una situazione di incertezza e precarietà”. Così Paolo Bandiera, direttore Affari generali Associazione italiana sclerosi multipla (Aism) in occasione del quarto Talk di Alleati per la Salute (www.alleatiperlasalute.it ) il nuovo portale dedicato all’informazione medico-scientifica realizzato da Novartis.  

Titolo del dibattito: “Il caregiver: quale ruolo nella presa in carico del paziente fragile e nella società?” al quale hanno partecipato Raffaele Donini, Assessore alla Salute della Regione Emilia-Romagna e la giornalista Silvia Bencivelli. Nel suo intervento, Bandiera ricorda “i punti avanzati di riconoscimenti in alcune regioni che hanno fatto da apripista, come l’Emilia-Romagna” ma anche situazioni in cui il “caregiver – sottolinea – è abbandonato a se stesso, costretto a fare i conti con l’enorme responsabilità di prestare assistenza senza alcuna protezione o collegamento con il Ssn, ma anche e soprattutto con il dramma dell’impoverimento. Dover prestare assistenza è causa spesso di espulsione dal mondo del lavoro, con le difficoltà economiche che ne conseguono, acuite in particolare in questo momento di pandemia”. 

Secondo un’indagine condotta dal Coordinamento nazionale famiglie con disabilità (Confad) durante il primo lockdown – è emerso dal dibattito – per il 90% dei caregiver il carico lavorativo è diventato più gravoso, l’86% ha subito un danno fisico/emotivo, il 71% non si è sentito supportato dalle Istituzioni e il 98% ha giudicato insufficienti i provvedimenti previsti dai Decreti per i caregiver familiari. 

“L’attività di caregiver – ricorda Bandiera – è stata riconosciuta dalla legge di Bilancio 2018 che ha istituito per loro un fondo di 20 milioni di euro l’anno per il triennio 2018-2020, definendo caregiver le persone che in virtù di rapporti di familiarità, convivenza e affinità, prestano attività di cura e assistenza non occasionale ma di lungo periodo, quindi si tratta di persone che hanno necessità di un sostegno intensivo di lungo periodo. Con questa legge arriviamo ad una dotazione di 68 milioni spendibili. Un decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale nel gennaio 2021 prevede finalmente per le Regioni i 68 milioni di euro da utilizzare per interventi veloci, immediati a sostegno dei caregiver che nel contesto pandemico sono stati particolarmente esposti a situazioni di stress e criticità”.  

Per il direttore degli Affari Generali di Aism è inaccettabile che il testo della legge n.1461 che prevede, tra l’altro, che i caregiver ricevano tre anni di contributi figurativi equiparati al lavoro domestico, sia “bloccata in Commissione Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato in attesa di essere discussa”. “È un ddl molto importante – fa notare Bandiera – ma è fermo da quasi un anno al Senato. Bisogna toglierlo da questa situazione in cui è sostanzialmente congelato, perché c’è davvero necessità di definire una norma quadro che garantisca l’applicazione unitaria dei diritti soggettivi su tutto il territorio nazionale. Senza questo Testo unico il richiamo del PNRR sull’inclusione del ruolo del caregiver rischia di essere soltanto una indicazione programmatica”.  

Il Testo unico, secondo Bandiera “ha il pregio di avere visione unitaria, di inquadrare la figura del caregiver in modo organico. Tra gli aspetti positivi – elenca – rivedere i Lea e introdurre dei livelli essenziali di prestazioni rispetto alla figura del caregiver; prevedere percorsi semplificati che garantiscano l’accesso alle prestazioni per l’assistito e per il caregiver ma anche percorsi di formazione, di educazione e di abilitazione perché altrimenti il caregiver si trova a dover gestire da autodidatta delle complessità assistenziali enormi”.  

C’è poi la parte previdenziale sulla quale “occorre avere un po’ più di coraggio – non ha dubbi Bandiera – : bene i contributi figurativi ma pensiamo anche alla possibilità del prepensionamento, ad un assegno per chi non ha un reddito sufficiente, all’assimilazione dei lavoratori usuranti. Inoltre, nel momento in cui un caregiver non possa fornire assistenza occorre pensare ad una formula che garantisca il subentro da parte di un operatore professionale. Con la pandemia è emerso che il caregiver è una risorsa essenziale ma non può essere costretto al dilemma “lavoro o presto assistenza?”.  

“Per questo motivo – sottolinea Bandiera – dobbiamo trovare delle formule sostenibili, innovative, a partire anche dalle sperimentazioni fatte nel campo del lavoro agile, che consente un equilibrio tra cura e lavoro. Ma non uno smart working che poi si traduca come un lavoro da casa, perché questo vorrebbe dire isolare ulteriormente il caregiver e costringerlo nell’abitazione. Bisogna, invece, fare in modo che riesca a vivere una dimensione lavorativa reale, che continui a prestare assistenza e sia supportato fortemente dalla rete dei servizi. Cerchiamo di riqualificare anche i centri per l’impiego, abbiamo avuto evidenza di tantissimi caregiver che sono stati espulsi quest’anno dal mondo del lavoro. Il ddl è una buona legge, è un buon punto di partenza, sicuramente migliorabile, ma – conclude – va sbloccato: ci sono i fondi ma paradossalmente manca la norma, di solito accade il contrario”.