SVIZZERA, ALUNNI MUSULMANI RIFIUTANO DI STRINGERE LA MANO ALLA LORO INSEGNANTE. LA SCUOLA GLI DÀ RAGIONE E SCOPPIA IL CAOS

    1 stretta di manoEra un tempo consuetudine in Svizzera, in particolar modo per gli alunni delle scuole del cantone Basilea Campagna, stringere la mano al proprio o alla propria insegnante all’inizio e alla fine di ogni lezione. Un gesto innocente, simbolico sì, ma anche di rispetto per la figura che si ha di fronte. Da qualche giorno, invece, nella scuola secondaria di Therwil, cittadina a nord-ovest del cantone, non sarà più così. Ma non per tutti gli alunni, bensì solamente per due di questi. I ragazzi in questione hanno 14 e 15 anni, sono fratelli e sono musulmani di origine siriana.

    La vicenda, che ha acceso un aspro dibattito in Svizzera, è stata rivelata la scorsa domenica dal settimanale Schweiz am Sonntag. Il tutto sarebbe nato nel mese di novembre quando i due giovani avrebbero rifiutato di stringere la mano ad una loro insegnante giustificando la decisione presa con motivi religiosi. Secondo la religione islamica, o per meglio dire secondo la loro l’interpretazione, infatti, un uomo non avrebbe il diritto di toccare altra donna al di fuori della propria moglie. È proprio rifacendosi a tale precetto che i ragazzi, provenienti da una famiglia a quanto pare molto osservante, hanno dato il via a quello che in realtà non sembra essere un caso isolato in territorio svizzero.

    La direzione dell’istituto è stata colta alla sprovvista e, dopo aver provato a contattare, in maniera tuttavia infruttuosa, le autorità cantonali per sapere come muoversi, ha accolto la richiesta e trovato un accordo in base al quale i due studenti saranno dispensati dallo stringere la mano alle proprie insegnanti. Ma questo non sarebbe l’unico evento del genere. Sembrerebbe, infatti, che un episodio simile si sia verificato anche nel comune di Muttenz, sempre nel cantone Basilea Campagna. Inoltre, come se non bastasse, Bernhard Gertsch, presidente dell’Associazione degli insegnanti intervenuto durante la trasmissione ’10vor10’, ha raccontato che: “Da 20-30 anni si verificano casi del genere, con giovani di sesso maschile, soprattutto di religione islamica, che si rifiutano di dare la mano a un’insegnante donna”.

    Molte e immediate sono state le reazioni. Intervistata dalla televisione pubblica svizzera SRF, la Consigliera federale del Dipartimento di giustizia e polizia, Simonetta Sommaruga, si espressa in termini estremamente negativi nei confronti della decisione presa dalla scuola basilese: “Non è così che mi immagino l’integrazione Nella convivenza ci sono anche questioni difficili, ma che un bambino rifiuti di stringere la mano alla sua maestra, no, così non va! Ed è una cosa che non c’entra neppure con la libertà di religione”. Un episodio che la Consigliera ha definito “assolutamente inaccettabile”. “Non possiamo accettare questo in nome della libertà di credo. La stretta di mano è parte della nostra cultura”.

    Dello stesso avviso anche Manuele Bertoli, direttore del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (DECS) del Canton Ticino, il quale ha osservato come questo gesto non coinvolga solamente la sfera culturale e religiosa ma anche quella del rispetto per le donne e della parità di genere: “Inquesto caso siamo in presenza di una convenzione sociale tipica del luogo. Il fatto di non rispettarla, rifiutandosi di dare la mano alle docenti è inaccettabile, in particolare dal punto di vista della parità di trattamento fra uomini e donne”. Secondo Bertoli, fatti come questi porterebbero a ribaltare la questione dell’integrazione. Non sarebbero, in questo caso, i paesi ospitanti a non dar modo di integrarsi alle attuali e future generazioni di musulmani, ma loro stessi: “Il problema non sta tanto nel dare o nel non dare la mano, quanto piuttosto nel fatto che, diventando adulti, andranno incontro a una difficile integrazione nella società”. La soluzione da mettere in campo per risolvere il problema non sta allora nell’obbligare le persone ad assumere determinati comportamenti ma nel tentare la via del dialogo: “Non è questione di obbligare o non obbligare a dare la mano. Si tratta di far capire ai ragazzi e ai genitori, attraverso il dialogo, che trincerandosi dietro certe modalità più o meno derivanti da precetti religiosi, il futuro sarà molto difficile”.

    Se la componente sociale e politica della Svizzera si mostra praticamente all’unanimità in disaccordo con la scelta dell’istituto, quella musulmana si divide. Da una parte ci sono coloro che criticano la decisione. Tra questi, Jasmine El Sonbati, musulmana e insegnante in un liceo basilese: “Il rifiuto di stringere la mano non ha nulla a che vedere né con la cultura né con l’islam, si tratta piuttosto di una moda neo-islamica che non può venir tollerata. Questo episodio serve ai fondamentalisti per presentarsi come vittime”. Allo stesso modo si è espressa la Federazione delle organizzazioni islamiche in Svizzera (FOIS), la quale ha chiarito come la stretta di mano tra un uomo e una donna sia teologicamente ammissibile e non crea alcun problema. Altrettanto importante il contributo di Emine Sariaslan del Forum per l’integrazione dei migranti che ritiene come il provvedimento non aiuti i ragazzi, i quali sono messi in difficoltà dalle regole diverse che vigono a scuola e in casa propria. Dall’altra parte, invece, c’è chi difende il provvedimento. Ne è esempio il Consiglio centrale islamico svizzero tramite il suo portavoce Qaasim Illi, il quale ha dichiarato: “Dopo gli attacchi di Colonia, alla vigilia di Capodanno, è stato chiesto ai musulmani di mantenere le distanze dalle donne”.

    La questione, quindi, non sembra destinata a spegnersi in tempi brevi. Soprattutto se si considera che questo non è l’unico caso in cui le scuole svizzere hanno dovuto fare i conti con precetti religiosi che si scontrano con programmi e consuetudini scolastiche. Lo dimostrano le difficoltà e i dibattiti generatisi in seguito alle sale di preghiera per musulmani adibite in alcuni istituti di Lucerna. O ancora i problemi derivanti dalle lezioni di nuoto, le quali sono parte dei programmi didattici e quindi obbligatorie. Perciò rifiutare di prendervi parte, sarebbe come rifiutare di seguire una qualsiasi lezione di matematica o di storia.

    Quello dell’integrazione, insomma, è un problema dal quale nessun paese sembra essere esonerato. Qualcosa con cui ognuno si trova, e in futuro avverrà ancor di più, a fare necessariamente i conti. Ciò che mostra questa vicenda, però, è che non sembriamo essere vicini a una soluzione pacifica e soddisfacente per entrambe le parti in causa. Il significato della parola integrazione se si consulta il vocabolario è: “l’integrarsi a vicenda, unione, fusione di più elementi o soggetti che si completano l’un l’altro, spesso attraverso il coordinamento dei loro mezzi, delle loro risorse, delle loro capacità”. Se lo si accetta come tale, ed è ciò che andrebbe fatto, vediamo che siamo ancora ben lontani dal raggiungere il tanto agognato traguardo.

    Luca Crosti