Università, tasso occupazione laureati all’87,7%: dall’informatica all’Ict ecco cosa scegliere

Se l’Università accresce la conoscenza dei ragazzi, iscriversi ad un corso di laurea e conseguire il titolo accademico continua a rappresentare un ‘lasciapassare’ per il mondo del lavoro. Basti pensare che nel 2020, annus horribilis della pandemia, si é contato un tasso di occupazione – compreso chi svolge una formazione retribuita e a cinque anni dalla laurea – pari all’88,1% tra i laureati di primo livello e all’87,7% tra i laureati di secondo livello. La laurea, inoltre, fa salire anche il livello della busta paga. Stando al Rapporto Almalaurea 2021, nel 2020 la retribuzione mensile netta a un anno dal titolo è, in media, pari a 1.270 euro per i laureati di primo livello e a 1.364 euro per i laureati di secondo livello, a 5 anni dalla laurea la retribuzione mensile netta è pari a 1.469 euro per i laureati di primo livello ed a 1.556 euro per quelli di secondo livello.
 

“All’aumentare del livello del titolo di studio posseduto diminuisce il rischio di restare intrappolati nell’area della disoccupazione” commentano gli analisti di Almalaurea, il consorzio interuniversitario che getta un ponte fra le università e il mondo del lavoro e delle professioni. Ma quale facoltà scegliere? A fronte del gap di competenze digitali in Europa, la Commissione Europea
ha sottolineato più volte che “la domanda di specialisti in tecnologie dell’informazione e della comunicazione è in rapida crescita” e che in un futuro molto prossimo “9 posti di lavoro su 10 richiederanno competenze digitali”.
 

“Allo stesso tempo, 169 milioni di europei tra i 16 ei 74 anni – il 44% – non hanno competenze digitali di base” ha avvertito la Commissione. Inoltre, le tecnologie digitali, ha indicato Bruxelles, “sono utilizzate in molti settori come l’agricoltura, la sanità, i trasporti, l’istruzione, la vendita al dettaglio, l’automazione, l’energia, i trasporti marittimi, la logistica, l’insegnamento e l’industria delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”. Dunque, dall’informatica all’Ict, all’ingegneria e a tutte le materie Stem, la scelta dell’Università che garantisca un accesso veloce al mondo del lavoro é presto tracciata. Ma non solo.  

“I laureati godono di vantaggi occupazionali importanti rispetto ai diplomati di scuola secondaria di secondo grado durante l’arco della vita lavorativa: secondo la più recente documentazione Istat, nel 2020 il tasso di occupazione della fascia d’età 20-64 è pari al 78,0% tra i laureati, rispetto al 65,1% di chi è in possesso di un diploma. Inoltre, la documentazione più recente Oecd a disposizione evidenzia che, nel 2018, un laureato guadagnava il 37,0% in più rispetto ad un diplomato di scuola secondaria di secondo grado” sottolineano gli analisti di Almalaurea.  

Forse anche per questo il Rapporto 2021 di Almalaurea evidenzia che il 66,5% dei laureati di primo livello, dopo il conseguimento del titolo, decide di proseguire il percorso formativo iscrivendosi a un corso di secondo livello, una quota che il consorzio ha rivisto in aumento nell’ultimo anno. Nel confronto con le precedenti rilevazioni di AlmaLaurea si deve tener conto, avvertono gli analisti del consorzio, “delle recenti tendenze del mercato del lavoro, fortemente influenzate dall’emergenza sanitaria da Covid-19 che, a partire dai primi mesi del 2020, ha investito anche il nostro Paese impattando sulle opportunità occupazionali della maggior parte dei laureati”.  

Rispetto a quanto osservato nella precedente rilevazione, infatti, nel 2020 il tasso di occupazione è diminuito di 4,9 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 3,6 punti per quelli di secondo livello. In termini di tasso di occupazione, la pandemia sembra aver colpito soprattutto le donne e le aree del Centro-Nord. Ma uno dei temi strategici ancora aperti nel nostro Paese, infine, é come trattenere in Italia i nostri ‘cervelli eccellenti’. Nel 2020 la disponibilità a lavorare all’estero è infatti dichiarata dal 45,8% dei laureati, in crescita rispetto al 2010 quando a voler andare all’estero era il 42% dei nostri laureati anche se, dopo un periodo di aumento durato fino al 2015 – anno in cui la percentuale ha oltrepassato il 50% – negli anni più recenti si è registrata un’apprezzabile contrazione. (di Andreana d’Aquino)