Infermiera rapita in Siria potrebbe essere viva

    infermiera rapita in Nuova Zelanda potrebbe essere ancora viva. A confermarlo è il ministro degli Esteri, che ha dichiarato che la donna rapita in Siria nel 2013, prigioniera ormai da sei anni del sedicente Stato islamico, sarebbe ancora in vita. Louisa Akavi, così si chiama la 62enne infermiera per la Croce Rossa per cui lavorava, la quale avrebbe raccolto testimonianze da parte di soggetti che affermano di averla vista, ancora viva.

    Infermiera rapita in Siria: ecco perché si spera

    Come ha riportato il New York Times, ci sarebbero due persone che a dicembre avrebbero avvistato Akavi in una clinica di Sousa, un avamposto rimasto in piedi dello Stato Islamico. Anche nel 2016 e nel 2017, dicono i funzionari della Croce Rossa, c’erano state segnalazioni simili. “Continuiamo a lavorare insieme per localizzarla e recuperarla”, ha affermato il ministro degli Esteri della Nuova Zelanda, Winston Peters. “Questo è stato un caso singolarmente complesso e difficile”. L’infermiera si era recata in Siria con il Cicr per prestare servizio di aiuto umanitario, ed era stata rapita ad Idlib, nel 2013, quindi nel nord ovest del Paese. Il governo della Nuova Zelanda ne ha ipotizzato la morte, ad un certo punto, ma è lecito pensare che i suoi rapitori possano aver deciso di avvalersi delle sue competenze mediche, al punto da risparmiarla. Una vicenda sulla quale era stato tenuto, fino ad ora, il massimo riserbo. Dominio Stillhart, direttore delle operazioni per il Cicr , ha  affermato che l’organizzazione ha scelto di dare il via libera all’esplicitazione del nome delle donna sperando che la cosa potesse esortare qualcuno a fornire informazioni su di lei o sulla sua posizione. “Non abbiamo parlato pubblicamente prima di oggi perché dal momento in cui Louisa e gli altri sono stati rapiti, ogni decisione che abbiamo preso è stata quella di massimizzare le possibilità di ritrovarli”, spiega Stillhart in una nota.” Con la caduta dell’ultimo pezzo di territorio nelle mani dello Stato Islamico abbiamo sentito che era giunto il momento di parlare”.