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Federambulanze: “La corretta gestione dell’emergenza sanitaria non inizia in Pronto soccorso ma in strada”

Secondo Flavio Ronzi (nella foto), esperto in Sanità, attuale Presidente di Federambulanze – Unimpresa e Responsabile Nazionale Sanità 118 della Rete ANAS, il terzo congresso di Emergenza Urgenza che si è tenuto a Firenze a fine marzo ha segnato un punto di svolta epocale.

Siamo a un punto di svolta fondamentale – dice Ronzi – perché è ormai acquisito che la corretta gestione dell’emergenza sanitaria non inizia in Pronto soccorso ma in strada. Non si parla più, finalmente, di emergenza extra ospedaliera ma di preospedaliera, rendendo evidente che il percorso di assistenza deve essere unico e coerente.”

-In che modo quindi si manifesta questa svolta epocale?

Da un lato si cerca di portare l’ospedale in casa attraverso la medicina del territorio, la telemedicina e la gestione delle cronicità. Dall’altro si alzano gli standard  di assistenza a bordo dei mezzi di soccorso per garantire l’appropriatezza dell’assistenza e quindi si chiede personale sempre più preparato. Pensiamo ai protocolli per la gestione precoce e corretta dell’ictus. Bisogna aggiornare i piani operativi e i fabbisogni”.

-In fondo si tratta di un settore nel quale tutti fin’ora hanno messo le mani e che è a volte gestito da un volontariato, se si può dire, molto volonteroso ma finanziato con denari pubblici. Cosa ci sarebbe da migliorare?

“Veniamo da una tradizione di sanità di prossimità, basata su un territorio spesso di montagna: questo vale per le migliaia di ambulanze gestite dai volontari che assicurano il servizio in paesi sperduti di 5.000 anime, così come per le centinaia di piccoli Ospedali. Già sappiamo quanto sia difficile chiudere e convertire questi Ospedali. E’ invece più facile comprendere il ruolo del volontariato organizzato su territori dove sarebbe insostenibile garantire l’arrivo di un’ambulanza in pochi minuti. Il ruolo dei mezzi con a bordo dei volontari “first responders” in grado di eseguire le azioni salvavita è sacro e irrinunciabile per le nostre comunità. Non comprendo invece come si fa a giustificare che nel 2023 lo scheletro dell’emergenza territoriale in alcune Regioni si sostenga solo sul volontariato”.

Il ragionamento è giusto ma da dove si dovrebbe iniziare, allora, per modificare l’attuale stato di cose?

“Facendo chiarezza, evitando gli equivoci. Cessando subito questo inutile conflitto tra volontari e professionisti, tra terzo settore e mercato. C’è alla base un grave errore concettuale: pensare che i professionisti del soccorso siano concorrenti ai volontari; vedere le Associazioni di Volontariato concorrere alle gare contro gli operatori della Sanità privata.  E’ sbagliato e se non lo capiamo da soli, il futuro ce lo dimostrerà. Un’ospedale della sanità privata accreditata non è concorrente agli ambulatori socio sanitari di prossimità gestiti dalle associazioni. Sono tre gli attori: lo Stato / le Istituzioni (118), il Terzo settore (Associazioni) e il mercato (imprese e cooperative). Abbiamo le competenze per dare insieme all’Italia una rete dell’emergenza performante e sostenibile. Certo che bisogna affrontare la questione più difficile”.

Quale sarebbe la questione più difficile da affrontare?

“Le risorse. I soldi, per essere chiari. La questione è chiaramente complessa, andrebbe affrontata ad hoc e si basa sul problema dei budget storici allocati per il servizio.

Prima di tutto però dobbiamo rispondere in maniera laica ad una domanda su cosa ci aspettiamo dai servizi pubblici. E’ un tema politico: possiamo accettare che Polizia, Ospedali e trasporto pubblico locale si basino sul volontariato?

Si potrebbe iniziare con lo standardizzare quanto costano, o dovrebbero costare, le varie conformazioni dei mezzi di soccorso.  Aveva avviato uno studio molto interessante la Federazione Aziende Sanitarie e Ospedaliere (FIASO) che è però non è mai stato sviluppato”.

Così però si rischia di restare fermi?

“No, anzi. E’ un momento di interventi urgenti del Governo per rispondere all’emergenza che riguarda i professionisti sanitari nell’ambito dell’emergenza.  Il metodo non è dei migliori ma serve pragmatismo ora. Possiamo partire dal punto più semplice e secondo me più facile da raggiungere e consolidare: il riconoscimento professionale del soccorritore autista. Questo darebbe competenza, certezza e fiducia e una base contrattuale da cui partire. Al Congresso di Firenze sono emerse sfumature diverse ma siamo tutti d’accordo che non sia più rimandabile”.

La sensazione che si ottiene entrando in quest’ottica è quella di una vera e propria rivoluzione non solo nello svolgimento del servizio ma anche nella concezione generale di questo tipo di attività?

Certamente ed il riconoscimento professionale di chi lavora a bordo delle ambulanze è naturalmente il primo passo di una rivoluzione che dovrà migliorare sia la risposta che la qualità della risposta stessa. E’ però necessario approfondire alcuni concetti che sono assolutamente dirimenti. Vogliamo i firstresponders, gli EMTs o i paramedici, o tutti e tre? È pensabile una formazione e un profilo diverso per la gestione dei trasporti sanitari semplici? Cosa è sostenibile per il volontariato e cosa no? Cosa significa creare professionisti dell’emergenza? Credo fermamente che rispondendo in maniera univoca, utile e concorde a tutti questi quesiti le nuove figure professionali che dovranno occuparsi di tutti gli scenari di emergenza preospedaliera si disegneranno da sole”.

Quindi sarà indispensabile anche creare un nuovo percorso di formazione?

“Ce lo chiedono in molti, a partire dall’analisi degli standard europei, dalle leggi sempre più responsabilizzanti e dalla qualità della risposta che dobbiamo poter assicurare alle persone che hanno bisogno. Sui percorsi formativi c’è un ampio dibattito, anche dovuto al fatto che abbiamo 20 sistemi regionali di emergenza diversi. In questi giorni si dibatte dei nuovi percorsi per gli OSS che partono dalle 1000 ore di formazione.  Per gli autisti soccorritori sembra che ci sia un accordo sulle 300 ore ma è necessario che sia univoca e standardizzata anche per consentire agli operatori di poter interagire tra loro e con tutto il sistema di risposta e di poter affrontare ogni evento in maniera professionale e modulare”.

Lei in concreto cosa propone?

Io ho lavorato molti anni all’estero e sono più vicino all’idea delle ambulanze con EMTs e Paramedici. E’ però molto lontana dal nostro attuale sistema e difficilmente percorribile. Per lavorare sui mezzi di soccorso occorrono professionisti specializzati anche se altre scuole di pensiero promuovono, invece, lo scambio e rotazione continua tra attività in ospedale e quella in strada. E’ un tema aperto ma dico solo che i protocolli operativi e la tecnologia ci permetterebbero di essere coraggiosi. Oggi però dobbiamo andare avanti senza troppa filosofia se non vogliamo fare collassare il settore”.

In quanto tempo si potrà ottenere qualche risultato tangibile e soprattutto un beneficio per l’utenza?

“Speriamo tutti in un tempo breve o brevissimo e contiamo sull’intelligenza e la capacità di visione prospettica dei nostri interlocutori ad ogni livello. Dobbiamo considerare che sul tavolo ci sono ancora questioni complesse sulle quali non si può giocare ancora. E‘ finito il tempo degli equivoci, da questa rivoluzione dolce dipende il riconoscimento dei professionisti, il futuro del sistema dei volontari, la sostenibilità dei costi ma soprattutto la chiarezza sui livelli di qualità che vanno garantiti ai cittadini che utilizzano i servizi di trasporto ambulanza o di emergenza”.

Max