Massimo Bonanni: ’La Lazio, la maglia numero 10 e De Rossi: vi dico tutto’

    Ha iniziato nelle giovanili della Roma, ma la sua fede biancoceleste non è stata mai celata: “Durante la rifinitura che anticipava un derby Capello mi faceva battere le punizioni e mi chiamava ‘il laziale’”. Onestà prima di tutto, principio fondante nella vita e nella carriera di Massimo Bonanni, uno che ha lasciato il calcio professionistico e un contratto con il Genoa ad appena 32 anni per stare dietro ai suoi due figli: “Mi ero separato e ho preferito stare dietro a loro nonostante il contratto con il Genoa. Sono tornato a casa ad Ostia, ma non mi pento. Sono felice della carriera che ho fatto”. Ha pochi rimpianti Massimo Bonanni, come racconta in esclusiva per Italia Sera, ma una cosa la cambierebbe di certo: “La retrocessione con il Vicenza, quella è stata dura da digerire”. 
    Per il resto ha fatto la carriera che sognava, a partite dagli esordi con la maglia della Roma: “I miei genitori sono stati chiamati sia dalla Roma che dalla Lazio perché mi volevano: mio padre ha scelto i giallorossi per una questione logistica. Ho fatto tutta la trafila lì, ho avuto compagni molto forti che sono arrivati in Serie A come me”. Come De Rossi ad esempio: “Ha iniziato a venire in pianta stabile in Primavera. Avevamo un bel rapporto, essendo nati e cresciuti entrambi nell’Ostiamare spesso andavamo al campo insieme. Mi dispiace quello che sta vivendo in questo momento perché penso la società Roma in qualche abbia sbagliato”. 
    Dalle giovanili alla prima squadra, fino ad arrivare ad allenarsi con i campioni dello scudetto, da Totti a Batistuta: “E’ stato fantastico allenarsi con fuoriclasse del genere”. Nessuna presenza in prima squadra, ma la possibilità di tornare alla base dopo il prestito al Vicenza è stata concreta: “Merito di Delneri – ricorda Bonanni in esclusiva a Italia Sera – mi voleva fortemente. Ma pur essendo un amante del 4-4-2, stava giocando con il 4-3-3-. Mi chiamò dicendomi che non se la sentiva di cambiare e di aspettare la fine della stagione. Venne però esonerato e il mio trasferimento di conseguenza saltò. Ma lo stesso Delneri mi volle con sé a Palermo: è stata la scelta azzeccata. Avevamo una grande squadra, tanti campioni del mondo e giocatori di talento”. 

    Bonanni: “La numero 10 della Lazio? Mi ha consigliato Di Canio”  

    L’esperienza in rosanero lo ha lanciato ai massimi li velli, tanto da spingere la Lazio a volerlo già nel gennaio di quell’anno. Bonanni non ci ha pensato un attimo a dire sì alla sua squadra del cuore: “La trattativa con la Lazio è durata molto, ma ci ho messo poco a dire ‘sì’. La scelta della maglia numero 10? È stata una scelta coraggiosa, mi sono trovato a scegliere un numero e mi hanno detto ‘ma tu sei della Lazio? Guarda che è libera la numero 10 perché Cesar è andato all’Inter’. Lì mi sono sentito un po’ in difficoltà, mi sono confrontato anche con Di Canio che mi ha detto ‘ma che ti frega, prendila, non ti capita più nella vita’. E infatti l’ho fatto ed è un ricordo bellissimo. Rimarrò nella storia come uno dei numeri 10 della Lazio”. 
    Sei mesi intensi, poi l’addio: “Sono andato via perché avevo la percezione che l’allenatore potesse cambiare modulo, cosa che tra l’altro è successa. Potevo rimanere altri tre anni, ma per il mio bene ho preferito cambiare aria. Se mi sono pentito di aver lasciato la Lazio? No, non mi sono pentito di averla lasciata, mi sono pentito di essere arrivato in quel momento. Forse la scelta migliore sarebbe stata quella di arrivare a giugno, magari mi sarei preso qualche altra soddisfazione a Palermo. Ma la voglia di arrivare subito qui a casa era forte”. 
    Dopo la Lazio altri nove anni intensi in cui ha vestito le maglie di club importanti come Sampdoria, Bari e Genoa. Poi l’addio al calcio, a soli 32 anni. Per amore dei suoi figli “per loro farei tutto, ho stravolto la mia vita per loro. E lo farei ancora”. Ora Massimo Bonanni fa l’allenatore nelle giovanili dell’Ostiamare, società in cui è nato calcisticamente. Studia dai migliori come Di Francesco e Inzaghi, che sono rimasti suoi amici, e sogna un futuro in panchina. Sempre con il coraggio che lo ha contraddistinto.