Strage bus, assolto Ad Autostrade. Urla in aula: Vergogna!

    “Siete la vergogna dell’Italia, vergogna, questa non è giustizia”. E ancora: “Avete ucciso i nostri cari per la seconda volta”. Questo il tono delle urla che hanno riempito l’aula del tribunale di Avellino, lanciate dalle famiglie delle 40 vittime del bus finito sul terrapieno il 28 luglio 2013. Una reazione comprensibile dopo aver udito, dalla sentenza letta in Tribunale, dell’ assoluzione decisa per Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade per l’Italia. Un coro quasi unanime che grida “vergogna” ha accompagnato la contrastatissima decisione di assolvere i vertici di Autostrade per l’Italia.

    Castellucci, amministratore delegato di Autostrade, che secondo alcune voci avrebbe espresso la volontà di lasciare il suo ruolo di amministratore delegato, guadagnata l’assoluzione avrà adesso forse un incentivo a restare saldo al comando. Nessuna responsabilità comprovata nel processo per l’autobus che è caduto nella scarpata dell’A16. Il procuratore di Avellino Rosario Cantelmo aveva chiesto per l’ amministratore delegato una pena di 10 anni di reclusione. La sentenza è stata letta velocemente dal giudice monocratico del tribunale di Avellino Luigi Buono, in un contesto fatto di applausi sarcastici e le urla che incitavano a vergognarsi. Senza entrare nel merito della decisione, certamente non un bello spettacolo al quale assistere.

    Nell’incriminazione del processo per la strage del 28 luglio 2013, il pm Rosario Cantelmo ha ricordato vicende che hanno provocato grande emozione, prima di concludere con la richiesta di pena decennale per i vertici di Autostrade, accusata di “trascuratezza” e “negligenza”. Il magistrato si era concentrato in particolare su due storie: quella di Clorinda Iaccarino, che porta ancora i segni fisici di quella notte in cui ha perso il marito e le figlie nel tragico incidente. “Ho perso tutto, non ho più niente”, ha ripetuto tre volte, citando le parole della donna. E poi la storia di Annalisa Caiazzo, che si ritrova ogni giorno davanti agli occhi la testimonianza vivente di quanto accaduto, con una figlia di soli 5 anni che all’epoca fu operata più volte, “aperta come una scatoletta di tonno” dice Cantelmo, per la quale la madre ogni giorno si chiede “cosa ne sarà di lei quando non ci sarò più”.