Biennale di Venezia, mostra sull’anno di svolta “1999” – di Valeria Grassi

    5f5ef-la biennale di venezia1In un’epoca satura di ansie, di crisi non solo economica, l’arzilla “signora” del contemporaneo, con i suoi 120 anni di vita, fa sentire la sua voce: da’ vita al “Parlamento delle forme” per tornare a osservare, come dice il presidente della Biennale, Paolo Baratta, “il rapporto tra l’arte e lo sviluppo della realtà umana, sociale, politica, nell’incalzare delle forze e dei fenomeni esterni”.

     La Biennale di Venezia si prepara all’apertura ufficiale, il 9 maggio, una mostra che guarda al passato ma anche al futuro, dato che è visitabile online, sulla piattaforma del Google Cultural Institute. 

    Si tratta della riproposta del percorso espositivo della Biennale Arte del 1999 intitolata “dAPERTuttO” (48° Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia) e diretta da Harald Szeemann, il grande curatore svizzero scomparso dieci anni fa. “Volevamo evidenziare qualcosa che è sfuggita a tanti”, aggiunge Baratta “che persino la stampa internazionale non ha ancora chiaramente afferrato: il mutamento di struttura della Biennale avvenuto appunto nel 1999”.

    In quella edizione, con Szeemann, la Biennale si assunse in pieno la responsabilità della mostra internazionale, abolendo le sezioni, lasciando al suo fianco i padiglioni dei paesi. Un modello che era già stato sperimentato ma che è stato sancito appunto nel 1999, e poi mantenuto”, sottolinea Baratta che ha ricordato come quella “fu la traduzione in una scelta definitiva e strategica di soluzioni adottate in alcune occasioni negli anni precedenti in momenti particolarmente felici della vita della mostra: in special modo quello nel quale la mostra, ancora articolata in sezioni, aveva introdotto tra queste una sezione APERTO nella quale si predispose ad accogliere le novità del mondo e le più giovani generazioni”. Una nomina che “segnò anche l’inizio di un periodo nel quale i curatori sarebbero stati sempre scelti tra i curatori del mondo. Negli anni precedenti erano sempre stati italiani, assistiti più o meno intensamente, da commissioni varie, con la sola eccezione di Jean Clair nell’occasione nell’anno del centenario”, ricorda Baratta.

    Presupposti che potrebbero rendere realizzabile, in futuro, un padiglione completamente virtuale alla Biennale e se per Baratta “la cosa è possibile, avverrà solo per dimostrare ancora una volta che il reale vince: più rete, più internet, più virtuale c’è, più folli verranno a vedere le opere nella loro fisicità perché l’emozione dell’occhio non è riproducibile”.