Dl Lavoro, scontro in maggioranza: “Sì a fiducia, battaglia in Senato”

     

    Giorno decisivo per il decreto lavoro (il cosiddetto Jobs Act) e per le riforme, mentre il Movimento 5 stelle e Forza Italia attaccano l’esecutivo sul decreto Irpef: “non ci sono le coprture”, sostengono. Il governo porrà la fiducia sul testo del dl Lavoro così come è stato emendato dalla commissione Lavoro della Camera. Lo ha detto il capogruppo del Pd a Montecitorio, Roberto Speranza, al termine del vertice di maggioranza con il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, e quello dei Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi. Il Nuovo Centrodestra voterà la fiducia alla Camera al dl Lavoro, annuncia nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio la capogruppo, Nunzia De Girolamo: “Siamo alleati del governo e degli italiani. Voteremo la fiducia ma il nostro sostegno al governo e’ condizionato alla battaglia che faremo al Senato sul testo del decreto che consideriamo migliore per il Paese”, ha spiegato. Per De girolamo “esistono due sinistre: una riformista e una no, rappresentata ad esempio da Cesare Damiano”. Sulla stessa linea il presidente della commissione Lavoro a palazzo Madama, Maurizio Sacconi: “Il nostro impegno al Senato sara’ quello di far valere le nostre ragioni”, ha detto. PADOAN – A favore del testo sul Lavoro arrivano le parole del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: “La riforma del Lavoro portata avanti dal ministro Poletti accelera il beneficio in termini di occupazione della ripresa che si sta consolidando”, dice a Radio Anch’Io su Radio1. “Non è che la riforma Fornero non vada più bene – aggiunge Padoan – ma nel frattempo le condizioni recessive sono peggiorate. Purtroppo vediamo che c’è una ripresa ancora fragile anche se positiva e questo stenta a tradursi in occupazione. Una riforma come quella presentata dal governo e portata avanti dal ministro Poletti accelera il beneficio in termini di occupazione della ripresa che si sta consolidando”. Il titolare delle Finanze si sofferma anche sul recente provvedimento sull’Irpef, con i famosi 80 euro in più in busta paga, di recente approvato dal governo, parando i colpi dalle critiche e giustificandole come “campagna elettorale: non sono un ministro politico, ma anch’io queste cose le capisco”. Sulla misura, “il bicchiere è mezzo pieno e pensiamo di riempirlo via via che le misure si rafforzeranno e diventeranno permanenti e via via che la base che beneficia del taglio” dell’Irpef “si allarga. E’ un’operazione di grandi dimensioni, che richiede qualche mese per essere messa a punto”, spiega in radio. Quanto all’idea di allargare la platea dei beneficiari, Padoan spiega perché non è stato fatto: “Estendere il bonus degli 80 euro anche ai pensionati sarebbe costato troppo e non sarebbe stato credibile. E’ importante che ora torni la fiducia e che ci sia un aumento del reddito a disposizione delle famiglie. E’ importante, cioè, che siano disposte a spendere il bonus”. Sull’altro fronte, quello delle coperture, Padoan prova a rintuzzare gli attacchi dell’Abi: le banche sono contrarie all’aumento dal 12 al 26% della tassazione sulle plusvalenze generate dalla rivalutazione delle quote di Bankitalia e paventano una nuova stretta al credito da questa misura. Per il ministro la rivalutazione delle quote di Bankitalia “è un’operazione opportuna visto il distacco che c’era prima tra valori mercati e di libro” e per le banche “la tassazione sulla rivalutazione lascia un pò meno di quanto previsto ma è sempre importante”. Quindi “sono convinto che le banche faranno il loro lavoro per dare credito all’economia: è nel loro interesse perchè così fanno profitti”. Conferma poi che le “partecipate sono un capitolo importante della mia agenda”, anche se mettere mano alla loro riorganizzazione o dismissione “è un lavoro faticoso”. Le privatizzazioni “sono un programma importante che durerà qualche anno e che intensificheremo”, mentre dal tetto agli stipendi dei manager a 240mila euro “arriveranno solo 40 milioni, ma è un segnale importante”. I DATI PREOCCUPANTI – Una settimana dunque molto complessa per il governo che deve fare anche i conti con i dati Istat. Oltre un milione di famiglie è senza reddito da lavoro. Tutti i componenti ‘attivi’ che partecipano al mercato del lavoro sono disoccupati. E’ quanto emerge da dati Istat sul 2013. Nel dettaglio si tratta di 1 milione 130 mila nuclei, tra i quali quasi mezzo milione (491 mila) corrisponde a coppie con figli, mentre 213 mila sono monogenitore. Il numero delle famiglie dove tutte le forze lavoro sono in cerca di occupazione risulta in crescita del 18,3% rispetto al 2012 (+175 mila in termini assoluti). E nel confronto con 2 anni prima il rialzo supera il 50%, attestandosi precisamente al 56,5%. Si tratta quindi di ‘case’ dove non circola denaro, ovvero risorse che abbiano come fonte il lavoro. Magari possono contare su redditi da capitale, come le rendite da affitto, o da indennita’ di disoccupazione, o ancora da redditi da pensione, di cui beneficiano membri della famiglia ormai ritiratisi dal lavoro attivo.