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Mariano Amici sul suicidio del Prof. De Donno: “Lo Stato deve assumersi le sue responsabilità”

Circa un anno fa, dopo aver speso settimane di intenso studio ed analisi dedicati ai contagi di Covid, riuscì a mettere a punto un’innovativa cura nella lotta contro il Covid, ‘alternativa’ alla discutibile scelta di farsi somministrare il ‘farmaco’ o meglio, il vaccino. Praticamente, attraverso le trasfusioni di plasma iper-immune (cioè il sangue di quanti guariti dal Covid), l’allora primario di Pneumologia dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, Giuseppe De Donno, nella fase iniziale questa sua terapia, sarebbe riuscito a curare 46 persone, poi aumentate nelle settimane a seguire, con tutte guarigioni, anche nei casi di particolare gravità.

De Donno: una speranza uccisa prima dall’avvento vaccinale e poi dal giudizio dell’Iss

La terapia di De Donno coincideva con i ‘primi raggi di sole’, dopo i mesi bui della prima ondata della pandemia, che con la lugubre sfilata dei camion di Bergamo aveva gettato nello sconforto il Paese intero. Qualcuno accennava ai primi approcci monoclonali ma, all’orizzonte si stagliava già nettamente quella che poi sarebbe stata la scelta ‘ferrea’ del governo anzi, ‘dei governi’: vaccinazione a qualsiasi costo. Nel frattempo la terapia del primario pneumologo mantovano continuava a dividere le autorità sanitarie fino a quando, ‘un bel giorno’, l’Istituto superiore di Sanità rese noto che, dopo aver effettuato approfonditi studi sulla terapia anticorpale, in collaborazione con l’Agenzia italiana del farmaco, era stato appurato che “non è stata osservata una differenza statisticamente significativa nell’end-point primario, ossia la necessità di ventilazione meccanica invasiva definita da un rapporto tra PaO2/FiO2 minore di 150, o decesso entro 30 giorni dalla data di randomizzazione, tra il gruppo trattato con plasma e quello trattato con terapia standard. Nel complesso lo studio non ha quindi evidenziato un beneficio del plasma in termini di riduzione del rischio di peggioramento respiratorio o morte nei primi 30 giorni”.

De Donno: una cocente umiliazione che lo ha portato a dimettersi e a ritirarsi

Un giudizio durissimo che non lasciava nessuna possibilità di replica. Fu così che, come per incanto, il Prof. De Donno ‘sparì’ dalla ribalta mediatica, che nel frattempo continuava invece a ‘cullarsi’ i suoi beniamini. Non deve essere stato facile per questo uomo stimato da tutti (laureato in Medicina e chirurgia all’università di Modena, e poi specializzatosi nelle malattie dell’apparato respiratorio), accettare un così feroce diniego. Lui che, nel 1992 era già di ruolo al Policlinico dell’università di Modena, per poi trascorrere brillantemente 27 anni al ‘Carlo Poma di Mantova’. Un medico scrupoloso, apprezzato artefice di tanti approfondimenti e studi clinici, per l’appunto, incentrati sulla cura ed il follow up della malattia tubercolare. Chissà, forse dopo lunghi mesi di ripensamenti (e dolore), lo scorso 5 luglio De Donno lasciò il suo posto per ‘cercare pace’ nel ruolo di medico di medicina generale a Porto Mantovano. Felicemente sposato con Laura, e padre di Martina ed Edoardo, De Donno abitava a Eremo, una frazione di Curtatone: qui è stato ritrovato suicida pochi giorni fa dai suoi familiari.

De Donno: un professionista che incarnava la dedizione di molti suoi colleghi

Una morte che ha sconcertato tutti, destando grande commozione, soprattutto tra la gente comune. Ma dietro quel suo gesto estremo, sostengono con convinzione alcuni suoi colleghi, si cela l’amarezza e la delusione nei confronti di un ‘sistema sanitario’ troppo vicino alla politica ed alle sue regole.

In molti hanno voluto leggere nel dramma di De Donno, la disperazione di quei tanti ‘medici di frontiera’ che, a macchia di leopardo nel Paese, proprio nei giorni bui della pandemia, si dannavano anche 14 ore al giorno, cercando di prestare cura ai propri assistiti, in un interminabile e rischiosissimo ‘porta a porta’.

De Donno: il ricordo affettuoso per l’amico-collega, e la ‘denuncia’ del Dott. Mariano Amici

Tra questi anche il ‘vulcanico’ medico di Ardea, Mariano Amici il quale, pur rimarcando di non essere un ‘no-vax’, da mesi continua a girare l’Italia con lo slogan ‘Continuiamo a far maturare le coscienze’, contro la vaccinazione, che ritiene una ‘cura farmacologica sperimentale’, e spingendo invece a favore della cura che, se effettuata nei modi e tempi giusti, il medico assicura sia risolutiva, affermando che fra i suoi oltre 1.500 assistiti non ha avuto un decesso per Covid.

Anche lui, impressionato dalla morte dell’amico di Mantova (insieme nella foto), oltretutto a sua volta anch’esso ‘ridicolizzato’ per aver opposto un’alternativa alla ‘cura ufficiale imposta dal sistema’, dal suo sito ha voluto dedicare un pensiero al Prof. De Donno, e nel contempo pronunciare una specifica e dura denuncia:

Mariano Amici: “Il suicidio di Giuseppe De Donno: lo Stato si deve assumere le sue responsabilità”

Esprimo tutto il mio cordoglio alla famiglia De Donno ed a tutti i medici, impegnati nella lotta per la verità, profondamente colpiti da questa tragica morte.

Si è aperto uno scenario profondamente inquietante in quanto un medico che sceglie la morte quale liberazione da un mondo nel quale non ci si ritrova più ha ben altre soluzioni, molto più semplici, per togliersi la vita.

Indipendentemente dal fatto che il dott. De Donno si sia suicidato o che l’abbiano “suicidato” una cosa e’ certa: lo Stato ha consentito ai media nazionali che il dott. De Donno venisse letteralmente ridicolizzato dalle reti televisive nazionali, RAI compresa alla quale paghiamo anche il canone, solo perché ha dimostrato con i fatti di aver salvato molte vite con il suo metodo di cura.

Tutto ciò ha, come minimo, causato al professionista un gravissimo stato di prostrazione che potrebbe effettivamente averlo indotto a questo gesto estremo ma in questo lo Stato deve assumersi le sue responsabilita’!

Un affettuoso abbraccio alla famiglia De Donno ed a tutti coloro che ne condividono il grande dolore”.

Mariano Amici, Medico