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Paura nel mondo dopo gli ultimi casi di Ebola

Cynthia Goldsmith This colorized transmission electron micrograph (TEM) revealed some of the ultrastructural morphology displayed by an Ebola virus virion. See PHIL 1832 for a black and white version of this image. Where is Ebola virus found in nature?

The exact origin, locations, and natural habitat (known as the "natural reservoir") of Ebola virus remain unknown. However, on the basis of available evidence and the nature of similar viruses, researchers believe that the virus is zoonotic (animal-borne) and is normally maintained in an animal host that is native to the African continent. A similar host is probably associated with Ebola-Reston which was isolated from infected cynomolgous monkeys that were imported to the United States and Italy from the Philippines. The virus is not known to be native to other continents, such as North America.

Ebola, che paura. Non siamo ancora a livelli di allarme, ma dopo quanto successo nei mesi precedenti, l’Ebola torna a fare paura. E l’Italia si trova spaventata da questa impennata di rischio e pare abbia preso ad indirizzarsi verso una forma di prevenzione in stile Uganda.

Ebola, paura in Uganda prevenzione in arrivo dall’Italia

L’ebola torna a spaventare e allora l’Italia esporta la prevenzione dell’Uganda. Tutto nasce dal fatto che il virus Ebola è tornato a fare paura. È ricomparso in Congo e ha fatto oltre 2mila vittime. Conto l’epidemia del virus in Uganda, il livello di allerta è salito al massimo, in uganda.

Il Ministero della Sanità ugandese ha detto di recente che l’epidemia è reale e ha chiesto accorgimenti alla popolazione soprattutto nel vigilare per segnalare qualsiasi caso sospetto a un apposito numero verde.

Il piano di prevenzione, peraltro, prevede una joint-venture tra Italia e Uganda.

Nel 2016 infatti, dopo una epidemia di Ebola del 2014, partì il progetto ENDORSE (Enhancing individual and institutional infectious Disease Outbreaks ResponSe capacities of healthcare professionals to mitigate infectious Emergencies in Northern Uganda region), che venne messo in piedi dall’Ospedale Sacco di Milano con la partecipazione di nove ospedali ugandesi, con il Lacor.

Come riferisce Giovanna Fotia, a capo del progetto: «Sono state formate almeno quindici persone in ogni ospedale che hanno imparato a vestirsi, riconoscere e trasportare in condizione di sicurezza un caso di Ebola a un ospedale di riferimento come il Lacor. Il progetto ha lasciato uno stock minimo di equipaggiamento, una decina di kit per ogni ospedale: uno dei problemi è infatti la difficoltà di reperirlo dai canali governativi».

Si aggiunge Giuliano Rizzardini, responsabile malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano: «Abbiamo portato modelli occidentali, equipaggiamento, tute, mostrando la diagnostica più evoluta; loro però si sono dimostrati più bravi di noi nell’individuare i casi e trattare i campioni biologici, insegnandoci metodiche utili in emergenza come il riconoscimento e la gestione dei sintomi, per esempio come compaiono i casi sospetti e quelli conclamati».

All’Ospedale Lacor sono pronti per l’epidemia. «Possiamo contare su un piano per affrontare l’emergenza: sappiamo individuare i casi sospetti e abbiamo una procedura da seguire. Sappiamo dove portare il paziente, chi dobbiamo avvisare, quali risorse usare», afferma Emmanuel Ochola, epidemiologo e responsabile del Dipartimento Hiv dell’Ospedale Lacor. «La sorveglianza è continua: lo screening procede ai confini e se viene rilevato qualcosa di insolito ci viene immediatamente comunicato. Per arginare l’epidemia e ridurne la mortalità è molto importante anche l’informazione alla popolazione, che deve saper identificare i casi sospetti e riferirli alle autorità in modo che i pazienti siano gestiti con tempestività. Per questo si utilizza un sistema di rete per cui alcune persone, chiamate letteralmente ‘mobilizzatori del villaggio’, fanno da tramite con l’ospedale o i centri sanitari periferici e vanno nei villaggi a fare informazione».