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Culle vuote, con l’avvento del Covid, e l’incertezza economica derivata dall’emergenza sanitaria, è crollata la natalità

Si scrive Covid, ma si legge miseria’. Va da se che con l’avvento dell’emergenza sanitaria, paura ed incertezza a parte, a far crollare definitivamente la fiducia degli italiani circa un futuro migliore, l’evidente crisi economica, che ha letteralmente ‘sparigliato’ ovunque le carte in tavola.

E puntuale, come soltanto l’incertezza economica può causare, ecco il crollo delle natalità.

Culle vuote: nel periodo compreso fra gennaio e settembre denatalità raddoppiate rispetto al 2019

Un trend in negativo oggi sollevato dall’Istat, che nell’ambito del specifico rapporto ‘Natalità e fecondità della popolazione residente 2020’, rivela che già lo scorso anno “i nati sono stati 404.892 (dunque 15 mila in meno rispetto al 2019). Nello specifico, il calo di circa -2,5% nei primi 10 mesi dell’anno, è poi peggiorato a novembre (con un -8,3% rispetto allo stesso mese del 2019), e quindi a dicembre (-10,7%), esattamente nel momento in cui inizia il conteggio delle nascite concepite all’inizio dell’ondata epidemica”. Dunque, spiega ancora l’Istituto di Ricerca, ’’La denatalità prosegue  con l’avvento del Covid, e l’incertezza economica derivata dall’emergenza sanitaria, è crollata la natalità e le minori nascite sono già 12 mila 500, quasi il doppio di quanto osservato nello stesso periodo del 2020’’.

Di conseguenza, per ogni donna, è sceso anche il numero medio di figli che nel, 2020, è stato del 1,24, rispetto all’1,44 (periodo di massimo relativo), toccato nel biennio 2008-2010.

Culle vuote, un fenomeno molto più sentito nel Nord-ovest (-15,4%), che al Sud (15.3%)

A testimonianza di come e quanto l’incertezza economica determinata dal Covid abbia inciso, il fatto che tale fenomeno si è fatto sentire proprio in quelle regioni, un tempo economicamente molto più virtuose rispetto al resto d’Italia. Come spiega infatti il report dell’Istat, ’’Nel Nord-ovest, più colpito dalla pandemia durante la prima ondata, a dicembre il calo tocca il 15,4%. Il clima di incertezza e le restrizioni relative al lockdown sembrano dunque aver influenzato la scelta di rinviare il concepimento. A gennaio 2021 si rileva la massima riduzione di nati a livello nazionale (13,6%), con picco nel Sud (-15,3%) che prosegue, più contenuta, anche a febbraio (-4,9%); queste nascite sono, per la quasi totalità, riferibili ai concepimenti di aprile e maggio 2020”.

Culle vuote: “Una sorta di tendenza all’abbandono nel breve termine della scelta riproduttiva”

Inoltre, spiega ancora il dossier, ’’Il forte calo dei nati a gennaio 2021, tra i più ampi mai registrati, dopo quello già marcato degli ultimi due mesi del 2020, lascia pochi dubbi sul ruolo svolto dall’epidemia. Il crollo delle nascite tra dicembre e febbraio, riferibile ai mancati concepimenti della prima ondata pandemica, poteva essere dovuto al posticipo di pochi mesi dei piani di genitorialità. Tuttavia, dai primi dati disponibili, tale diminuzione sembra l’indizio di una tendenza più duratura in cui il ritardo è persistente o, comunque, tale da portare all’abbandono nel breve termine della scelta riproduttiva”.

Culle vuote: il numero medio di figli delle donne di cittadinanza italiana, è crollato all’1,17

Fra quelli che possiamo definire come i dati più bassi di sempre in merito alle natalità, l’attuale numero medio di figli delle donne di cittadinanza italiana, crollato al  1,17. ’’Il numero medio di figli per donna delle italiane è in calo al Nord (da 1,16 a 1,14) e in egual misura nel Mezzogiorno (da 1,23 a 1,21). Resta stabile al Centro (1,11). Al Nord a detenere il primato della fecondità delle italiane resta sempre la Provincia autonoma di Bolzano (1,62) seguita dalla provincia di Trento (1,27). Tra le regioni del Centro, il livello più elevato si osserva nel Lazio (1,13) mentre nel Mezzogiorno il picco si registra in Sicilia (1,30) e Campania (1,28); in Sardegna si registra il valore minimo pari a 0,94, ancora in diminuzione rispetto allo 0,97 del 2019′‘.

Culle vuote: ora prima di far venie alla luce il loro primo figlio, le donne attendono circa 3 anni in più

Infine, conclude questo interessante report dell’Istat, nel 2020 per le donne è cresciuta di 3 anni l’età media alla nascita del primo figlio, quindi rispetto al 195 si parla di oltre 3 anni in più. ”Le regioni del Centro sono quelle che presentano il calendario più posticipato (32,6 anni). Le m adri residenti nel Lazio hanno un’età media al parto pari a 32,7 anni, al pari delle madri del Molise, superate solo da quelle della Basilicata (33 anni) e della Sardegna (32,8)’’.

Max