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Disturbi alimentari. Storia di un fiocchetto lilla: “Caduta in una voragine, ora spero di uscirne. No ai giudizi facili”

(Adnkronos) – “Un giorno siamo caduti in una voragine”. Comincia così il racconto di Franca Rosa, mamma di Lucrezia. E’ la storia di un ‘fiocchetto lilla’. Una storia di Dca (disturbi del comportamento alimentare), di una ragazza “che si sentiva inadeguata” e del suo “momento buio”, di una famiglia che ha saputo vedere la spia rossa che si era accesa e chiedere aiuto, di un cammino in corso con un obiettivo: “Spero di uscirne”, riassume la 19enne. 

Madre e figlia hanno deciso di raccontare la loro esperienza, “perché – dice semplicemente Lucrezia – spero possa aiutare”. Perché, analizza Franca, “manca l’informazione sui disturbi alimentari. Non c’è solo l’anoressia, la bulimia, ma anche tante altre manifestazioni. Ed è importante il supporto alla famiglia, oltre che al malato. Perché la famiglia si sente molto sola e incapace di aiutare il proprio caro. Ignora come agire, le parole da usare, gli atteggiamenti da tenere. Lo vediamo quotidianamente: ci sono parole e argomenti tabù. Non si può parlare di cibo con mia figlia”. Quando un disturbo del comportamento alimentare colpisce qualcuno, che sia una ragazza o un ragazzo, un bambino, un adulto, “la vita dell’intera famiglia viene sconvolta, non c’è più l’equilibrio e la serenità di prima, tutto è compromesso”.  

Per Franca c’è un’urgenza: “Non si può non potersi curare – incalza – non può essere che a curarsi siano solo quelli economicamente più fortunati. Il servizio sanitario nazionale arriva fino a un certo punto e molte volte non arriva neanche. La cura deve essere per tutti. Mia figlia – racconta – oggi ha 19 anni, 2 anni fa si sentiva non adeguata” nella sua forma corporea “e mi ha chiesto di andare dalla dietologa per perdere qualche chilo. Io temevo che potesse guardare sul web e fare da sola, quindi l’ho portata. Ma lei è una ragazza determinata e quando si prefissa un obiettivo deve raggiungerlo a tutti i costi. Si è fatta prendere la mano, la dieta che le era stata data ha cominciato a dimezzarla nelle quantità. E siamo caduti. Non è vero, però, che i genitori non possono vedere dei segnali. Si vede quando una ragazza non sta bene”.  

Le spie d’allarme? “Oltre alla perdita di peso, c’è l’isolamento, la perdita dei capelli, il colorito giallastro, lo sguardo assente, le unghie fragili”, elenca. “Lucrezia non partecipava più attivamente alla vita familiare, usciva sempre meno con gli amici”. La diagnosi: anoressia restrittiva. Da lì la dietologa ha consigliato un supporto psicologico. Poi Lucrezia ha chiesto “un aiuto farmacologico ed è stato coinvolto lo psichiatra. In un lavoro di équipe che è fondamentale. Occorre affidarsi a chi ha professionalità in questo campo”, puntualizza Franca. Adesso, assicura, “Lucrezia sta molto meglio fisicamente, ma ha ancora tante cose sue dentro da affrontare. Deve imparare a piacersi di più e pensare che è una bella persona. Ognuno di noi è un individuo a sé, non bisogna guardare all’aspetto fisico ma a quello che si è”.  

Quando si è toccato il fondo, cosa spinge a riprendere in mano la propria vita? “Se devo essere sincera – racconta Lucrezia – non c’è mai stato un momento in cui ho deciso di farmi curare, sono sempre stati i miei genitori a spingermi. Io ho chiesto un supporto farmacologico per superare un momento molto buio. Non ce la facevo più, non riuscivo ad alzarmi dal letto, non avevo voglia di studiare. Per cose banali come fare la doccia era mia madre che mi tirava su di peso. Io non ne vedevo il motivo. Ti chiedi perché farlo se speri di non svegliarti il giorno dopo”. Ora, dice però, “sto lavorando sull’insieme di cose che mi ha portato a quel punto. L’unica cosa in cui vedevo controllo era il cibo. Se ci penso, fin da piccola ho avuto questa cosa: non mi piacevo, quando ero in costume tiravo in dentro la pancia”. Ma nel 2021, in piena pandemia Covid, l’anno della maturità di Lucrezia, “ero costretta a casa, ferma, sola”. Fino al via libera e all’allentamento delle restrizioni. 

Per la ragazza è il ritorno in società a far scattare qualcosa. “E’ stato il panico. Non ero più abituata a stare in mezzo alle persone. Ho iniziato la dieta e la mia socialità, la mia ‘popolarità’ aumentava man mano che perdevo chili”. Il collegamento è automatico: “Sono magra e piaccio di più. In realtà il motivo era che stavo meglio con me stessa ed ero più simpatica. Fuori indossavo una maschera, in casa no. Anche oggi, se guardo le foto di allora, penso che ero più bella. Ma in quei giorni, al culmine della malattia, mi sentivo uno schifo”. Lucrezia ha poi attraversato diversi disturbi, non solo l’anoressia, ma un misto di bulimia e binge eating. E se quando parli di anoressia le persone magari provano dispiacere, l’abbuffata viene vista come una schifezza. E lo è. Ma io so che una persona che si sente già male, così”, con sulle spalle anche la ‘condanna facile’ degli altri, “si sente più giudicata e imbarazzata. Per questo ne parlo e spero possa aiutare qualcuno”. Oggi Lucrezia ha un piano. “Ho raggiunto un compromesso con la dietologa e avendo messo su peso le ho chiesto di poter perdere qualche chilo. Lei mi ha dato uno schema da seguire e ogni settimana mi controllerà. L’obiettivo è mantenere quel peso che è stato prefissato e cercare di uscirne. E ora spero davvero di farcela”. Essere seguiti è importante, interviene mamma Franca. “I fatti curano, non bastano le parole”. Obiettivo concretezza.  

Lo stesso che si è posto la neonata Fondazione Fiocchetto Lilla, presentata oggi a Milano. Famiglie ed ex malati uniti contro quella che ha ormai assunto i contorni di una “vera e propria emergenza nazionale e sociale”. Anoressia, bulimia, binge eating, vigoressia, ortoressia: i disturbi del comportamento alimentare – noti come Dca o, più recentemente, Dna (Disturbi della nutrizione e alimentazione) – dopo la pandemia hanno raggiunto “numeri che non possono più essere ignorati: un aumento che sfiora il 40%, una crescita dei ricoveri che tocca il 50%”. Dalle esperienze e dall’impegno di chi ha lottato in prima persona contro queste patologie (ex malati, madri, padri, fratelli, sorelle, amici, compagni) è nata a Grosseto questa nuova realtà. Una realtà che raccoglie quanto di buono è stato costruito con associazioni come ‘Così come sei’, fondata da Francesca Lazzari, che ha perso uno dei suoi 4 figli; ‘Mi nutro di vita’, presieduta da Stefano Tavilla, che ha visto morire la figlia, Micaela Bozzolasco e Sebastiano Ruzza che hanno vissuto la malattia sulla propria pelle; ‘Perle Onlus’, fondata da Mariella Falsini che la malattia la conosce da vicino, Simona Corridori, ideatrice del codice lilla, e Maria Carla Martinuzzi, pediatra. Queste tre associazioni creano ora, come soci fondatori, una nuova realtà “di respiro nazionale”.  

La Fondazione Fiocchetto Lilla “intende promuovere cura, ricerca, formazione, prevenzione, tempestività nelle cure, ascolto, credibilità, continuità assistenziale e dei percorsi di guarigione. In un’unica parola: concretezza”, spiegano i promotori dell’iniziativa. Dopo anni spesi “per aiutare persone, dialogare con le istituzioni, locali e nazionali, fare prevenzione e informazione, sensibilizzare la cittadinanza, approfondire studi e stimolare competenze professionali, è giunto il momento che il lungo e spesso sofferto percorso svolto fino ad oggi intraprenda nuove strade, con mezzi adeguati alle nuove e crescenti sfide”. Il sogno è che “dietro ogni fiocchetto lilla ci siano solo storie di vittoria”.