Il futuro è qui: ma l’interazione uomo-macchina arranca

    Mentre i ‘poltroni’ fanatici dell’E-commerce ne salutavano entusiasti l’arrivo in Italia, di li a poco, quanti speranzosi di poter dare una svolta alla loro vita con un’opportunità di lavoro, ebbero invece poco dopo modo di doversi ricredere.
    Come molti ricorderanno, nemmeno un anno fa, tanto fece discutere (ovviamente per legittimi comportamenti antisindacali), la vicenda del ‘vergognoso’ braccialetto di Amazon: una tecnologia che arriva a guidare le mani dell’uomo fino a impedirgli di sbagliare i gesti sul lavoro attraverso un algoritmo creato per ‘testare’ tempi e ‘idoneità’ alla produzione del malcapitato lavoratore (cronometrato persino in bagno). 
    Questo per spiegare ‘eloquentemente’ l’ormai attestata innovazione tra l’uomo e la tecnologia. 
    E’ lo studio targato ‘Realizing 2030: The Next Era of Human-Machine Partnerships’ a  tracciare i pareri di 3.800 ‘business leader globali’, per dirla in parole povere (ormai siamo ‘schiavi’ anche dell’inglsismo!), ovvero i direttori che hanno funzioni chiave nei settori che vanno dalla finanza all’Ict delle imprese di medie dimensioni, dove sono tutti concordi nell’affermare che “le macchine saranno lo strumento chiave che permetterà alle persone di superare alcuni limiti”.
    “Siamo ormai nel vivo della ’quarta rivoluzione industriale’. E la partnership tra uomo e macchina non è più una previsione, è qualcosa che sta accadendo e che non può far altro che continuare a svilupparsi”, ha spiegato in proposito Marco Fanizzi di Dell EMC Italia. “Si tratta di un processo che per una Nazione come l’Italia, da sempre a forte vocazione manifatturiera ed esportatrice, può rappresentare una vera e propria svolta dal punto di vista della competitività delle produzioni. Tuttavia, il processo di integrazione tra uomo e macchina va gestito accuratamente sotto molti aspetti. Soprattutto, dal punto di vista della formazione”. 
    Dal canto loro anche i manager italiani non sfuggono a questo trend: “Per l’87% del panel (82% se si guarda alla cifra globale), uomini e macchine lavoreranno come un vero e proprio team unico entro i prossimi 5 anni”, affermano convinti. 
    In questo ‘avveniristico’ (ma non troppo) scenario, emerge però anche un marcato scetticismo, circa lo status attuale del processo di trasformazione digitale. 
    Anche perch?, a ben vedere, in Italia, solo il 38% della comunità degli affari vede il digitale già integrato in tutto ciò che facciamo. Dato che, peraltro, posiziona il Belpaese come la Nazione in questo senso più ottimista (il dato globale è al 27%), con il Giappone a fare da contraltare (17%). I manager imputano proprio alla formazione (scarsa) dei lavoratori la causa di questo ritardo, indirettamente condannando proprio i livelli dirigenziali che di questa formazione si dovrebbero proattivamente preoccupare. “Tra le barriere più grandi a causare questa lentezza nel percorso di digitalizzazione, in Italia vengono citate il ritardo nella formazione della forza-lavoro in relazione al nuovo contesto digitale (57%), oltre alla mancanza di una visione strategica (56%)”, spiega il sondaggio. 
    Max