L’ESPERTA: ‘ECCO PERCHÉ HANNO RESISTITO SALVANDOSI AL GELO SOTTO LE MACERIE’. IL GEOLOGO: ‘L’ALBERGO NON DOVEVA ESSERE IN QUEL POSTO’, ED AVVERTE: ‘ORA ATTENTI AI FIUMI’

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     “So che può sembrare incredibile, ma in questi casi non è come essere sepolti sotto la neve: l’edificio, che evidentemente era ben costruito, ha mantenuto delle zone integre al piano terra o al seminterrato, isolate dalla coltre neve e dai detriti come fossero un airbag, ma con preziose sacche d’aria all’interno. Un ’effetto campana’ che, evidentemente, ha isolato anche i superstiti, tenendoli al freddo, ma ha consentito loro di sopravvivere”. Adelina Ricciardelli, past president Fimeuc (Federazione italiana medici dell’emergenza-urgenza e delle catastrofi), prova a spiegare il ‘miracolo’ delle persone sopravvissute 48 ore sotto le macerie ed il ghiaccio, analizzando questa terribile situazione al limite, vissuta da quanti colti dalla slavina all’interno dell’Hotel ‘Rigopiano’ di Farindoila. “A questo punto sono prevedibili traumi e problemi legati al freddo e alla disidratazione – aggiunge l’esperto medico configurando la situazione dall’interno – Se alcune stanze sono rimaste quasi integre, anche se isolate dal resto dei locali, allora c’è spazio per la speranza. Nonostante l’abbondante nevicata, queste persone non sono state sorprese da una slavina in mezzo alla neve. Per questo le possibilità di sopravvivenza erano maggiori. Anche se in passato ricordo di un ritrovamento dopo 2 giorni sotto la neve di una persona ancora viva”. Diversamente, osserva ancora la Ricciardelli,  il problema più grave è “quando si creano delle sacche d’aria dopo una slavina, è legato alla scarsità di ossigeno. Ma nel caso questo accada in un edificio, bisogna anche pensare che, con il freddo, rallenta il metabolismo e si riduce il consumo di aria. Altro rischio, oltre a quello legato ai traumi da schiacciamento, è il congelamento: il freddo alla lunga porta alla necrosi in primo luogo delle dita di piedi e mani. Ma bisogna sempre pensare che queste persone non erano sepolte all’aperto nella neve: si trovavano in una sorta di ’campana’ all’interno di un edificio. E questo, come ho detto, ci permette di sperare. Inoltre se sono rimasti bloccati nelle cucine, forse potevano contare su scorte di acqua”. Mentre il recupero di alcuni dei dispersi ha riportato un po’ di gioia, Gilberto Pambianchi, presidente nazionale dell’Associazione Italiana di Geomorfologia e docente dell’Università di Camerino, commentando la tragedia dell’Hotel del pescarese, non può però fare a meno di sottolineare come spesso, all’origine di tale tragedie, si celi la complicità umana: “In questi anni non abbiamo per nulla rispettato la natura prendendo esempio e imparando anche dai contadini di una volta, i quali avevano memoria storica di eventi già accaduti. L’albergo, con ogni probabilità non avrebbe dovuto essere in quel posto. Dopo i terremoti l’energia che si libera crea conseguenze nella dinamica in superficie. Dunque sono raddoppiate le portate di fiumi. Ora sarà necessario controllare sorgenti e versanti, soprattutto quelli dove insistono gli acquedotti, e controllare i fiumi. Quando la neve si scioglierà le portate dei fiumi aumenteranno ulteriormente e le valli potrebbero entrare in crisi. Bisogna porsi anche il problema di quello che potrebbe accadere dopo”, spiega Pambianchi, invitando tutti a non ‘distrarsi’ tenendo piuttosto attenzione per quanto potrebbe accadere nei prossimi giorni: “Il fiume Nera è passato da una portata di 3 metri cubi al secondo a ben 7 metri cubi al secondo. Alcune sorgenti che avevano un gettito di 40 litri al secondo, si sono addirittura completamente asciugate”. L’esperto geologo fa parte del team di ricercatori che sta studiando i cambiamenti del territorio dell’Appennino in seguito agli ultimi terremoti: “E’ probabile che il mutamento causato dal terremoto possa manifestarsi con la destabilizzazione dei versanti. Oggi la tecnologia è dotata di tutti gli strumenti finalizzati al controllo dei versanti. E il depauperamento delle falde acquifere può portare ad assenza di acqua, dunque a una crisi idrica”.

    M.