Home BENESSERE SALUTE Melanoma, una nuova speranza: rendere il cancro una malattia cronica

Melanoma, una nuova speranza: rendere il cancro una malattia cronica

La scienza prova a fare anno dopo anno dei passi avanti verso la cura o una miglior comprensione di quelle che sono alcune delle patologie più drammaticamente nocive per gli uomini e, indubbiamente, il cancro è tra questi. In questo periodo è salita alla ribalta quella che potrebbe esser vista come una speranza nuova, quella di rendere il cancro una malattia cronica. Ma cosa significa? Cosa comporterebbe?

Melanoma, le speranze verso le matastasi alimentate da nuove indagini

Fino a qualche tempo fa, in pratica, i malati con metastasi avevano assolutamente poche possibilità di cavarsela e il melanoma era quasi una condanna a morte indiscutibile. Ma per fortuna le cose stanno cambiando. Infatti, oggi anche soprattutto tramite nuovi farmaci si può felicemente asserire come la metà dei malati metastatici sia viva a cinque anni dalla diagnosi. Esistono delle specifiche, ad ogni modo, che vanno chiarite.

Pur essendo letale, il melanoma oggi fa meno paura. «Una manciata di anni fa, nel 2011, solo un paziente su quattro con una melanoma avanzato era ancora vivo dopo un anno dalla diagnosi, oggi la metà sopravvive per diversi anni. Tanto da poter dire che lo abbiamo trasformato in una malattia cronica, che si può tenere sotto controllo, continuando a condurre la propria vita»: a dirlo è Paolo Ascierto, direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli.

Di recente, nel corso del congresso annuale dell’Associazione americana di oncologia medica (Asco), a Chicago, molte ricerche hanno messo al centro delle indagini proprio il melanoma: secondo una stima considerata credibile, oggi circa 15mila italiani ogni anno soffrono di melanoma e l diagnosi sono raddoppiate nel nostro Paese negli ultimi 10 anni.

Emergono dei dati più dettagliati: i pazienti sono sempre più giovani, in particolar modo intorno ai 40anni: e il melanoma diventa in pratica il terzo tipo di cancro più comune nella popolazione con meno di 50 anni. Ma perché?

«Probabilmente molto è dovuto alle cattive abitudini verso le radiazioni ultraviolette, naturali e artificiali – afferma Ascierto -. Ancora troppi connazionali non si proteggono come dovrebbero sotto il sole e finiscono per scottarsi. Così come moltissimi non hanno compreso i rischi reali legati alle lampade abbronzanti. Un attento controllo della pelle e una visita dal medico se si notano delle anomalie (come nei che cambiano forma o colore) è importante per scoprire un eventuale neoplasia per tempo: se individuato agli stadi iniziali, infatti, il melanoma può guarire definitivamente con la sola asportazione chirurgica».

E c’è, ora una nuova ipotesi: sospendere la cura, anche nei malati più gravi.

«Nel 2011 è stato dimostrato che con l’immunoterapia, allora nuovissima strategia (in pochi anni affermatasi come la quarta strategia di cura contro il cancro, accanto a chirurgia, radioterapia e farmaci), si riuscivano a fare progressi nella sopravvivenza dei pazienti là dove per 30 anni non si era fatto alcun passo avanti – afferma in effetti Ascierto – Ora le sperimentazioni presentate durante Asco 2019, indicano che importanti risultati si possono ottenere combinando i diversi farmaci immunoterapici fra loro. In questo modo, proprio nei malati più “difficili”, che già presentano metastasi, si potrebbe persino riuscire a rendere il cancro una malattia cronica, con la quale convivere per molti anni. E persino, giunti ad un certo punto e in determinati casi, si può sospendere la terapia».

«Dai risultati delle due ricerche emerge che un mix di medicinali amplia le probabilità di sopravvivenza dei pazienti – continua -. Un’analisi a cinque anni del trial CA209004, il più lungo follow-up che ha considerato l’efficacia dell’immunoterapia con la combinazione di due molecole (nivolumab e ipilimumab) in pazienti con melanoma avanzato, ha documentato che in tutti i pazienti, a distanza di quattro o più anni dall’inizio delle cure, i tassi di sopravvivenza globale erano del 57 per cento, e il tasso di sopravvivenza globale tre anni dopo la sospensione della terapia era pari al 56 cento. E’ emerso anche che la sopravvivenza a lungo termine con la terapia combinata non dipende dalla presenza di mutazioni genetiche nel paziente».