Risvolti inattesi per riforma 3+2 gli accademici si dividono – Valentina Forte

    Il voto finale delle lauree italiane è finito sul banco degli imputati. Negli ultimi giorni La Stampa ha richiesto al Miur, il ministero dell’istruzione, delle Università e della ricerca, di rielaborare i dati concernenti il voto finale del percorso di un laureando. Un’indagine intenta a fare luce sui lati in ombra di questo fenomeno tutto italiano che si sta sviluppando copiosamente negli ultimi anni, probabilmente dipeso dalla riforma 3+2 ora rimessa in discussione, poiché sono inefficaci e troppo lunghi i percorsi di studio.

     Nello scorso anno, il 2013, quasi 4 studenti su 10 hanno preso 110 e lode nei due anni di specialistica, ovvero il 37 per cento dei laureati. L’aspetto sinistro è accentuato dalla presenza della lode oltre al 110. Ovviamente in Italia spicca di nuovo il famoso sviluppo a forbice anche in questi termini, ovvero la diversità tra nord e sud. Nello stesso anno al nord ovest il 28 per cento dei laureati  ha ottenuto il 110 e lode, per il nord est il 32 per cento, al sud il 44 per cento e al centro il 45 per cento. Per quanto riguarda Sicilia e Sardegna solo uno studente su due ha conseguito il voto più alto. Ma l’anomalia appare anche qui, infatti sembra che 8 ragazzi su 10 riescano a laurearsi con un voto che si aggira in media intorno al 106, mentre al sud e al centro solo 7 ragazzi su 10 conseguono questo voto, e al nord ovest solo 5 su 10.

    Altro aspetto poco chiaro e sbalorditivo è il fatto che ci siano voti più alti rispetto alla specialistica, nonostante chi abbia terminato la triennale non abbia conseguito la laurea con voti alti, ma nella media. Ad ottenere l’ambito 110 e lode è stato il 16,64 per cento nelle isole, poco più del 10 per cento nel Nord-Ovest e il 12,55 per cento in tutt’Italia. Gli stessi risultati riscontrabili e comparabili a 13 o 14 anni fa quando ancora vigeva il vecchio sistema.

    Il dibattito si scende in favorevoli e contrari alla riforma 3+2. Dalla parte dei favorevoli troviamo il l’ex ministro della pubblica istruzione Luigi Berlinguer, padre della stessa riforma nata nel 2000 che ha rivoluzionato il mondo universitario. Stando alle sue dichiarazioni, l’obbiettivo della riforma sembra essere stato centrato visti i risultati più che soddisfacenti degli studenti, ed asserisce «È un sistema che ha dato buoni frutti, che seleziona e prepara molto meglio del precedente quando il tasso di abbandono era elevatissimo. Chi arriva alla specialistica è motivato e questo ha una conseguenza diretta sui voti». Al suo fianco si schiera anche Andrea Lenzi, presidente del Cun, Consiglio Universitario Nazionale che dichiara  «Il nuovo ordinamento ha generato maggiore frequenza delle lezioni e questo incide sui voti. Purtroppo c’è anche un calo delle immatricolazioni, quindi si crea una selezione che è negativa per il sistema Paese ma positiva per chi frequenta. In generale si è creato un migliore rapporto fra docente e studenti e quindi migliora il rendimento.»  

    Dall’altra faccia della medaglia si riscontra un meno convinto Luigi Biggeri, ex presidente dell’Istat e del Comitato per la Valutazione del Sistema Universitario, ora professore di Statistica alla Luiss: «È un grande errore che il voto della biennale non tenga conto del percorso precedente, sarebbe più giusto valutare l’intero curriculum universitario. Con il sistema attuale gli studenti si impegnano soltanto durante la specialistica. Inoltre, nel biennio si crea un rapporto molto stretto con i professori, e i professori stessi nella stragrande maggioranza dei casi si mostrano più benevolenti». A contraddire i risultati della riforma è la scettica PaolaPotestio, docente di Economia all’Università di Roma 3, che interviene dicendo «È davvero possibile che ci sia una percentuale così alta di voti alti? E non è il caso che questo imponga una riflessione sull’intero sistema? Il 3+2 non ha risolto il problema dei fuori corso e ha creato un disimpegno dei ragazzi nella triennale perché il voto finale per chi prosegue non conta nulla. Credo che sarebbe opportuno intervenire con alcune modifiche, velocizzando con percorsi uniti invece che divisi in due e riconoscere la possibilità che i più bravi possano laurearsi prima» La professoressa ha condotto e  pubblicato nel settembre del 2013 uno studio che spiega come il 3+2 non sia neanche minimamente vicino agli obbiettivi prefissati, i voti infatti sarebbero la mera rappresentazione di un fallimento della riforma stessa.